Vescovo libertino, amante di cento dame,
politico dissimulatore, impassibile, impenetrabile, uomo dai mille volti,
nobile di sangue, colui che portò la
Francia distrutta al Congresso di Vienna, l’uomo che prendeva tangenti su ogni
affare. Ma anche politico illuminato, con in mente un grande progetto
illuminista e moderno, destinato ad adattarsi a quello che la storia gli
offriva. Tutto questo e molto altro fu Charles-Maurice de Talleyrand-Périgod,
ministro degli Esteri francese e principe di Benevento, città che aveva
ottenuto da Napoleone e nella quale non
mise mai piede, ma che amministrò come il più illuminato dei principi:
istruzione obbligatoria e gratuita per tutti, bimbe comprese, una cosa mai
vista fino a quel momento. Fece in modo che Benevento fosse un’isola felice e
riuscì ad impedire che subisse l’invasione delle truppe francesi, così come
impedì che Parigi e la Francia, nel momento della disfatta, fossero invase
dalle truppe francesi.
Talleyrand nasce a Parigi il 2 febbraio
1754, giorno della candelora, sotto il segno dell’Acquario. Com’era
consuetudini presso le famiglie abbienti, anche se i suoi tanto abbienti non
erano visto che non si permettevano molta vita di corte, fu messo a balia da una nutrice (consuetudine
che provocava nei piccoli sofferenze a non finire, tanto che diversi di loro
morivano). Un giorno cadde da un armadio, aveva un anno appena, si azzoppò un
piede e visto che la nutrice non si curò di avvertire la famiglia, rimase
deforme per tutta la vita. Ed i suoi si limitarono a togliergli il
maggiorascato (cioè la trasmissione del patrimonio al figlio maggiore, che fu
concesso in sua vece al fratello Archambaud), pensando che non avrebbe ben
figurato nei balli a corte. Supposizione sbagliata, infatti se ci fu un uomo
che visse tra tutti i ricevimenti di corte e gli avvenimenti più importanti,
questi fu proprio lui, il grande Talleyrand. Il quale brigò per avere il titolo
di vescovo non certo per vocazione, tanto che si disinteressò sempre del suo
vescovado, ma per assicurarsi carriera e denaro. Tant’è vero che ci fu uno
scontro tra Napoleone ed il papa, il quale non concesse contemporaneamente a
Talleyrand di ritornare allo stato secolare e la licenza di sposarsi. Difatti
il pontefice scrisse: «In diciotto secoli di storia della Chiesa non si è mai
visto un vescovo che volesse spretarsi per prendere moglie».
La sua consorte, madame Grand, in
gioventù era stata una donna di una bellezza ineffabile, ma anche di una
stupidità e di un’ignoranza senza confini. Gli studiosi si chiedono come mai un
avventuriero come Talleyrand, che ebbe tra le sue amanti madame de Staël, volle
sposare ad ogni costo un’avventuriera che lo tradì spudoratamente. Forse,
dicono alcuni, aveva tra le mani carte compromettenti che inchiodavano
Talleyrand per via delle sue tresche con inglesi e Borboni. Ma come poteva,
un’oca di tal fatta, avere in pugno il principe di Benevento?
Amante di dame aristocratiche, tutte
maritate, accadeva che ogni tanto ne mettesse incinta qualcuna. Come accadde
con madame Flahaut, col consenso del marito di lei, o con la bella moglie del
ministro degli esteri Delacroix. In quest’ultimo caso, oltre ad avere la carica
del marito, ebbe il corpo di lei, ed un figlio naturale, cui impose il nome di
Eugene. Sì, proprio Eugene Delacroix, grande pittore romantico, in tutto il
ritratto del padre, l’ex vescovo spretato, il principe di Benevento.
Di lui stesso, Talleyrand disse: «Per
secoli cercheranno di capire la mia vera natura, i miei veri progetti, la mia
personalità». Suoi sono famosi aforismi passati alla storia: “La parola è stata
data all'uomo per nascondere i propri pensieri”; “Si conosce, nelle grandi
corti, un altro modo di farsi grandi: curvarsi”; “Il caffè dev'essere caldo
come l'inferno, nero come il diavolo, puro come un angelo, dolce come l’amore”.
A differenza del condottiero Napoleone,
Talleyrand preferiva l’arma della diplomazia, della moderazione, della
mediazione. Lui ingannava tutti, tutti quelli con cui trattava: con lo zar di Russia, con Metternich, con i
Borboni, con Bonaparte… Napoleone ne era irritato e conosceva bene la sua mania
di rubare a man bassa ovunque si trovasse, tant’è vero che spesso chiedeva alle
sue vittime: «Ditemi, quanto vi ha estorto Talleyrand». Quando costui fu sul
letto di morte, il re Luigi Filippo, che lo aveva nominato ambasciatore a
Londra, andò a trovarlo. Soffriva molto. Così il re gli chiese: «Come vi
sentite?». E lui: «Soffro le pene dell’inferno». «Di già?», rispose il re, sorridendo sotto i
baffi. Quando ricevette l’estrema unzione ed il viatico, disse al sacerdote:
«Non dimentichi che sono un vescovo». Alla sua morte, lo scrittore Ernest Renan
disse che Talleyrand, uomo per tutte le stagioni, era riuscito a ingannare la
terra e il cielo.