lunedì 2 gennaio 2012

COSI' PARLO' L'ANNO APPENA TRASCORSO

(La Stampa) - Crisi. La crisi finalmente è usata nella sua accezione più concreta e oggettiva. Nessuno parla di crisi esistenziale,o di amori in crisi…
Questa è una vera crisi applicata al forzato mutamento del tenore di vita, fino allo spettro della povertà.
La parola ci riporta agli spauracchi emotivi che usavano i genitori, che avevano fatto la guerra, per costringere ai figli del boom a mangiare la fettina.La differenza è sostanziale però: chi aveva sofferto la vera miseria allora voleva innestare gli anticorpi dell’austerità in chi pareva destinato al benessere perenne.
Oggi è crisi vera non è più una favola.

Sobrietà
La sobrietà è la new entry più suggestiva nel parlar comune delle ultime settimane.
È sicuramente frutto di una sorta di controriforma nelle liturgie giornalistiche.
Ci avevano abituato a minuziose descrizioni di baccanali che si consumavano tramaturi signori ricchi e potenti e giovanissimesacerdotesse impudiche eambiziose.
Poi improvvisamente ecco apparire la classe degli intabarrati in grigio-verde, delle signore che vanno alla messa con il piumino.
La silenziosa e irreprensibile compagnia dei tecnici salva-Italia ci indica la sobrietà, maniera gentile che avremo perdare nome all’indigenza.

Indignati
L’indignazione improvvisamente parve per un periodo caratteristica assoluta di coloro che protestavano accampati sul marciapiede.
Per meglio identificarli, rispetto ad ogni altro portatore di altre variegate indignazioni, il loro nome era pronunciato con la “g” dura, per rispetto all’origine ispanica del movimento.
Dalle nostre parti naturalmentesi è fatto un bel minestrone, avevamo ottimi esempi da imitare se avessimo voluto: dagli spagnoli ai contestatori di “Occupy Wall Street”.
Purtroppo un 15 ottobre dedicato alla giornata mondiale dell’indignato ci ha visto primeggiare nell’incendio di auto e sfascio di vetrine.

Patonza
Brutta cosa racchiudere tutto ciò chepuò significare la femminilità nella sua estrema sintesi anatomica.
È un esercizio da bar lungo il corso di un paese, da spaccamontagne estivi difronte al capannello che ascolta il racconto delle loro gesta amatorie.
Eppure questo termine, che, oltre ogni presa di distanza formale, tanto solletica alla facezia la parte più rinnegabile di noi, emerse un giorno da uno dei tanti resoconti d’illustri intercettazioni.
Regalò subito il blasone di Cavalier Patonza a chi lo pronunciò, teorizzando che quell’innominabile oggettodel desiderio dovesse tra l’altro girare.

Colle
Tra i sette colli di Roma, il Quirinale è diventato sintesi di una passione nazionale, dopo esser stato meta di fiaccolate notturne e di folle acclamanti.
Il Colle mai come in queste ultime settimane si è trasformato in un brand.
Il suo inquilino più illustre si è guadagnato un consenso e una visibilità con davvero rari precedenti.
Le riviste fanno a gara a dedicargli la copertina come fosse una star.
Non tutti forse la penseranno così, ma a tutti sembra essere rimasto l’unico pezzo in piedi sulla scacchiera delle istituzioni che ci eravamo lasciati alle spalle nel precedente capodanno.

Gianluca Nicoletti

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