Piero Di Vona (nella foto), ontologo (Buccino, 6 giugno 1928 - Salerno, 5 gennaio 2018), ha insegnato Storia della filosofia nelle università di Pavia, Palermo, Salerno e Napoli “Federico II”. E' figlio dell'antifascista italiano Quintino Di Vona, che pagò con la vita la sua opposizione al regime.
Debbo dire che gli antifascisti a me non sono mai
parsi eccelsi. Essi non ebbero nessuna parte nella caduta del fascismo, il re e
Badoglio, tutti e due legatissimi al fascismo, che ne provocarono la caduta con
la loro azione, non si sa bene per quale scopo, quando furono messi di fronte
alla sconfitta militare. Non si sa bene se lo fecero pensando di sacrificare
Mussolini per conservare il regime autoritario, o se volessero sinceramente
ritornare alla vecchia costituzione, come è meno probabile. Le divisioni
ideologiche degli antifascisti, ed i loro contrasti personali, resero
inefficace la loro azione. Del resto, nemmeno gli angloamericani ebbero mai
ebbero mai una grande considerazione per i fuoriusciti, perché non tentarono
mai di costituire un governo italiano antifascista da contrapporre a quello di
Mussolini. Io non pensavo nemmeno che questi fosse meritevole di una opposizione.
Come in filosofia non tutti e non sempre sono degni di confutazione, così in
politica non tutti e non sempre sono degni di una opposizione, e almeno per me
certo Mussolini non lo era. Ora che sono anziano penso con Sant’Agostino che
occorresse che il tiranno si distruggesse da solo, come in effetti avvenne. Mussolini
piacque agli Italiani perché portava agli eccessi i loro difetti. Ma non fu
affatto quel grande statista che gli Italiani credono ancora che fosse stato,
perché non hanno ancora misurato lo spaventoso abisso in cui per sua colpa sono
caduti, e neppure compreso che l’invasione dell’Italia dal Nord al Sud per
colpa della politica di Mussolini non fu altro che una delle invasioni
straniere succedutesi nei lunghi secoli seguiti alla caduta dell’impero romano.
Questa fu la vera colpa di Mussolini, veramente imperdonabile assai più dell’aver
instaurato un regime dittatoriale, perché l’unità d’Italia fu voluta per
impedire invasioni straniere e garantire alla nazione la libertà dagli stranieri.
Nessuno prima di Mussolini era stato capo del governo per vent’anni nello Stato
italiano. Eppure con una simile eccezionale esperienza, egli ragionò come il
popolino: la Germania aveva già vinto, e l’Inghilterra o si sarebbe arresa, o
sarebbe venuta a patti. Chi più di lui, che soffriva di stomaco, poteva capire
che dopo un lauto pasto bisogna concedere al corpo un lungo riposo? Eppure egli
seppe conquistare, ma non conservare l’Etiopia. Soprattutto non capì che solo
conservando la neutralità l’Italia avrebbe vinto la guerra che altre nazioni
combattevano. Mussolini fu ucciso dai partigiani per decisione del Comitato di
liberazione dell’alta Italia per almeno quattro ragioni, tre private e una
pubblica. Nei suoi vent’anni di governo non gli erano mancati i mezzi per
conoscere vita, opere e miracoli dei cosiddetti grandi capi dell’antifascismo. Inoltre,
Churcill e gli Inglesi temevano che, se fosse vissuto, avrebbe pubblicato i
documenti dei loro rapporti con lui e col regime fascista. Queste furono
ragioni private. La ragione pubblica fu che bisognava assolutamente evitare che
il capo dell’Italia vinta ed occupata, caduto in mano ai vincitori, subisse il
processo di Norimberga, o di altro luogo, e venisse giustiziato dagli stranieri
dopo un processo pubblico tenuto dinanzi a tutto il mondo. Vi fu poi la ragione
più vile, il timore molto forte che, se fosse vissuto, anche nel futuro regime
democratico, con la sua capacità oratoria e la sua personalità, che godeva
ancora di un seguito nonostante la funesta disfatta, potesse riprendere il
potere.
Piero Di Vona,
Ricordo di mio padre, in “La vita e
la storia familiare: interviste, lettere, articoli, testimonianze su La Voce di Buccino dal 2007 al 2023”, pp.
33-34
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