Fonte: La Nuova Padania
Cara Signora Azzolina,
permetta una piccola incursione in una lingua che Le è sicuramente poco familiare – ma quale lo è per Lei? – , il latino. Nella lingua dei nostri padri “minister” aveva la sua etimologia in “minus” = “meno” mentre “magister” l’aveva in “magis” = “più”. Devo dire che Lei – in buona compagnia con Bonafede, Di Maio, Toninelli, Lezzi – rende piena soddisfazione al “minus”.
Siete nati con l’affermazione “uno vale uno” ma, se aveste letto Sciascia, sapreste che gli “uomini” valgono uno ma i “mezz’uomini” mezzo, gli
“ominicchi” un quarto, i (con rispetto parlando come scriveva Sciascia) “pigliainculo” un sesto ed i “quaquaraquà” un decimo. Gli ominicchi – scriveva Sciascia – “sono come i bambini che si credono grandi scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi”. E, a scendere, il giudizio era ancora più sferzante. Ma fermiamoci un attimo agli “ominicchi/scimmie”.
Già “bambini che fanno le mosse dei grandi”: diciamo che Lei partiva bene avendo come illustri esempi il Toninelli che, convinto di essere il ministro delle infrastrutture, si è scavato, in un minuto, un inesistente tunnel del Brennero; o la Lezzi che, oltre ad avere immaginato di trasformare, come si fa con i Lego, l’ILVA di Taranto in un allevamento di cozze, si è lanciata in un “noi vogliamo informare i cittadini a 370 gradi” reinventando la geometria; o il primatista assoluto, Di Maio, “l’uomo è composto al 90% di acqua”, “la lobby dei malati di cancro” e, avendo confuso il Venezuela con il Cile, piazzato la Russia nel Mediterraneo e Matera in Puglia, è, giustamente, diventato ministro degli esteri. E, fin qui, ridiamo di riso amaro. Col
Bonafede, invece, piangiamo perché è riuscito ad essere un cataclisma dannoso per gli italiani onesti. Ma i mafiosi lo ringraziano ed applaudono. Come lo applaudono i complici Conte e Renzi.
Vede, signora (perdoni ma non riesco a chiamarLa ed a considerarLa
ministro) Azzolina, i Suoi concorrenti erano tali che bastava pochissimo per non superarli. Ma lei no, lei ha continuato a voler giocare ai giochi dei grandi. Anche perché – diciamolo – il suo protettore, San C(…), è sembrato essere particolarmente incline ad aiutarla.
Si presenta alle elezioni in Piemonte e non viene eletta ma, per miracolo, in Calabria c’è un posto di troppo per un pentastellato e lei viene ripescata. Per rimanere ai giochi: ambo. Presenta una tesi di laurea in cui, senza virgolette e senza citare gli autori, copia interi passi di altri e tutti si girano dall’altra parte: terno. Nella stessa tesi di laurea esibisce delle perle: “qual’è”; “parole sottoforma”; “riassuntato”; “ardire una congiura”; “esulare le capacità”. Ma la commissione, distratta da San C(…) , non se ne accorge: quaterna. Con scarsissima eleganza, da deputato, si presenta al concorso per dirigente scolastico e, nonostante l’insufficienza in inglese ed informatica, la commissione, distratta dal solito santo, la promuove: cinquina.
Si dimette il ministro dell’istruzione ed università ed ecco il miracolo, facciamo due ministeri e quello dell’istruzione, avendo dato onorevoli prove di cultura, lo diamo proprio a Lei: tombola. A questo punto San C(…), convinto di meritare un po’ di riposo si distrae e lei cosa ti fa?
Fa ridere il mondo intero, meritandosi citazioni da autorevoli giornali stranieri, con l’affermazione apodittica (non è una parolaccia vuole solo
dire che non ha bisogno di essere dimostrata, roba di Aristotele) “ Lo studente non è un imbuto da riempire di conoscenze” violentando in un sol colpo leggi della fisica e dell’idraulica ma facendo anche sobbalzare Francesco, il mio idraulico. Ma San C(…) era distratto. O forse stanco. O, forse, “ad impossibilia nemo tenetur” (traduco per Lei: “nessuno può essere obbligato a fare cose impossibili”). Cara signora, sono certo di averla
annoiata perché le lunghe letture non sono cosa sua ma mi segua ancora per un attimo.
La invito a venire con me in terre inesplorate, per Lei, naturalmente, parlo di quella cosa strana che si chiama “consecutio temporum” di cui potrebbe anche aver sentito parlare. Sa quella roba su cui si annodano le lingue di Di Maio e Toninelli poco avvezzi a congiuntivi e condizionali. Semplificando, nella consecutio ci sono tre periodi ipotetici (supponiamo che possano essere equiparati a dei desideri), quello della irrealtà, quello della possibilità e quello della realtà. Ecco, quello della irrealtà impossibile è che Lei, con un sussulto di dignità, si renda conto di essere totalmente inadeguata per occupare la scrivania che fu di Gentile, di Gaetano Martino, di Valitutti, di Spadolini, di Mattarella e dica mi ritiro. Non succederà.
Quella della possibilità è che l’Inquilino del Colle, solo Lui può e sa, si renda
conto che non si può lasciare in simili mani una cosa importante come la scuola dei nostri figli e, con mano di ferro in guanto di velluto, la obblighi ad andarsene. Difficile ma non impossibile.
Quello della realtà è che dieci, cento, mille, diecimila miei ex colleghi (ho
fatto il Preside – e non il dirigente scolastico – per 33 anni) e maestri (quelli di magis) e professori, quelli che con creatività e dedizione stanno cercando di limitare i danni ma che, probabilmente, si rendono conto che siamo l’unico paese in cui le scuole sono chiuse, che forse riapriranno a settembre, che gli esami di stato saranno un puttanaio e che i nostri studenti, tra dieci anni, pagheranno un prezzo per un anno di scuola in meno, ecco, se tutti
questi le scrivessero che non si sentono rappresentati da lei e che non accettano di ricevere disposizioni da un personaggio come lei, bene, se questo accadesse sarebbe, probabilmente, il primo passo verso una nobile scuola.
Nel salutarLa Le confermo che questa lettera io avrei avuto il coraggio di
scrivergliela anche se fossi stato ancora in servizio. Tale e quale. Ma rigorosamente protocollata agli atti della mia ultima scuola, il Liceo Classico “Pellico” di Cuneo.
Franco Russo