La modernità finisce ogni giorno e ogni giorno prolunga la sua
esistenza con una magia collettiva che occulta ciò che è in piena
evidenza: non crediamo più alla nostra avventura su questo pianeta.
Non abbiamo nessuna religione che ci tiene assieme, nessun progetto da
condividere. La paesologia denuncia l’imbroglio della modernità, il suo
aver portato l’umano dalla civiltà del segno alla civiltà del pegno. Navighiamo in un mare di merci,
e intorno a noi è tutto un panorama di navi incagliate: le nazioni, gli
individui, le idee, tutto è come bloccato in un presente che non sa
volgere la sua fronte né avanti né indietro.
In uno scenario del genere una politica possibile è la poesia.
La poesia non è il fiore all’occhiello, è l’abito da indossare, ma
prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo
procurarci la stoffa. La poesia ci può permettere di navigare nel mare
delle merci lasciandoci un residuo di anima. La poesia è la realtà più
reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose. Quando riusciamo a
radunare in noi questa forza, possiamo rivolgerci serenamente agli
altri, possiamo scrivere, possiamo fare l’oste o il parlamentare, non
cambia molto. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare.
Una volta che la baracca è smontata, piano piano impareremo a guardare
la terra che c’è sotto per costruire in ogni luogo non altre baracche,
ma case senza muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo,
costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un
senso intimamente politico e poetico, un senso che ci fa viaggiare più
lietamente verso la morte. Adesso si muore a marcia indietro, si muore
dopo mille peripezie per schivare o per cercare la fine. E invece c’è
solo il respiro, forse ce n’è uno solo per tutti e per tutto. Spartirsi
serenamente questo respiro è l’arte della vita. Altro che moderno o
postmoderno, altro che localismo o globalità. La faccenda è teologica.
Abbiamo bisogno di politica e di economia, ma ci vuole una politica e
un’economia del sacro. Ci vuole la poesia.
Per salvare il mondo dobbiamo pensare che siamo mortali, dobbiamo usare i nostri corpi, camminare, abbracciarci, stenderci al sole e sgretolarci, annusarci, danzare, suonare, salutare il sole, scrivere poesie, non ci sono altre strade, dobbiamo congedarci da ogni idea di progresso, dobbiamo congedarci da ogni fissità, muoverci sciolti, muoverci nel provvisorio, scatenare immaginazioni, lasciare i caselli delle mete obbligate, muoverci verso l’impensato, tenere il miracolo del mondo nel nostro fiato, raccontarci la meraviglia di essere qui assieme ai cani, ai vermi, ai conigli, alle nuvole, alle foglie, ai pesci, agli uccelli, assieme alla pioggia, assieme al vento, stare qui a sentire l’aria che gira senza mai fermarsi, raccontarci storie belle, mutilare l’efficienza, l’indifferenza, sgangherare l’idea del profitto, disarmare il disincanto. Con queste munizioni nello spirito possiamo guarire qualcosa, il nostro compito non è di allungare la permanenza a niente e a nessuno, ma rendere più lieve e lieto quello che c’è e quello che siamo. Poi tutto avrà fine e buona notte.
Per salvare il mondo dobbiamo pensare che siamo mortali, dobbiamo usare i nostri corpi, camminare, abbracciarci, stenderci al sole e sgretolarci, annusarci, danzare, suonare, salutare il sole, scrivere poesie, non ci sono altre strade, dobbiamo congedarci da ogni idea di progresso, dobbiamo congedarci da ogni fissità, muoverci sciolti, muoverci nel provvisorio, scatenare immaginazioni, lasciare i caselli delle mete obbligate, muoverci verso l’impensato, tenere il miracolo del mondo nel nostro fiato, raccontarci la meraviglia di essere qui assieme ai cani, ai vermi, ai conigli, alle nuvole, alle foglie, ai pesci, agli uccelli, assieme alla pioggia, assieme al vento, stare qui a sentire l’aria che gira senza mai fermarsi, raccontarci storie belle, mutilare l’efficienza, l’indifferenza, sgangherare l’idea del profitto, disarmare il disincanto. Con queste munizioni nello spirito possiamo guarire qualcosa, il nostro compito non è di allungare la permanenza a niente e a nessuno, ma rendere più lieve e lieto quello che c’è e quello che siamo. Poi tutto avrà fine e buona notte.
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