Nel Natale 2013 sorprese tutti e raccontò a braccio la storia dei suoi
esordi: «La prima volta che entrai in una panetteria-pasticceria per
vendere la crema alle nocciole che
faceva mio padre, il negoziante mi chiese brusco: “Cosa vuole?”. Non
ebbi il coraggio di offrirgli il prodotto. Comprai due biove di pane e
uscii. Andò così in altri due negozi. Nel quarto lasciai la merce in
conto vendita. Tornai il giorno dopo: l’avevano venduta tutta».
Poi chiuse con una sorta di testamento: «Possiamo essere orgogliosi della nostra storia. Abbiamo un debito con questa terra. La fabbrica resterà qui».
Grande signor Michele, tutti gli Albesi ti porteranno sempre nel cuore ! (DANIELA QUAGLIA)
Poi chiuse con una sorta di testamento: «Possiamo essere orgogliosi della nostra storia. Abbiamo un debito con questa terra. La fabbrica resterà qui».
Grande signor Michele, tutti gli Albesi ti porteranno sempre nel cuore ! (DANIELA QUAGLIA)
"Ferrero, buttaci giù la Nutella" - Ogni sera specialmente d'estate
quando si trascorre più tempo fuori casa, verso le 19.30 a Grinzane
Cavour sentivamo un leggero rumore che si faceva via via più insistente...
Era l'ora dell' "elicottero di Ferrero" che passando sulle colline delle Langhe rientrava in stabilimento ad Alba.
Noi adulti ci chiedevamo chissà quali decisioni importanti fossero
state prese in giornata, chissà cosa stesse pensando in quel momento il
Sig. Michele, chissà cosa pensasse guardando le sue colline....
Nostro figlio Giacomo, che ha 3 anni, invece semplicemente alzava gli
occhi al cielo e sbracciandosi verso l'elicottero gridava con tutta la
sua voce: "Ferrero, buttaci giù la Nutella!!!"
Anche
l'elicottero ci mancherà, ci mancherà il suo rumore che era diventato
per noi un simbolo. Eravamo abituati a lui nelle Langhe così come nelle
colline di Langa fino a pochi anni fa eravamo abituati alla bicicletta
del figlio Pietro. Ci mancherà davvero.
Ora che sei in cielo continua a buttarci giù la Nutella, Giacomo la aspetta! Riposa in pace. (LANGHE)
MICHELE FERRERO, UN GENIO UMILE
Michele Ferrero, primo fra gli italiani per ricchezza, meritata, ha raggiunto la sua Madonnina, di cui tanto era devoto.
In Ferrero, azienda grande non soltanto per dimensioni, venni assunto nell’84. Seguivo gli sviluppi di mercato di certi prodotti sperimentali in Gran Bretagna e Lussemburgo. Ero felice.
Pochi giorni dopo la laurea, imbattutomi per caso nel signor Ferrero in un ascensore del centro direzionale di Pino Torinese, salutai imbarazzato «buongiorno signor Ferrero sono il signor Asola, molto lieto», e gli porsi la mano. Lui me la strinse, mi sorrise e mi corresse «il dottor Asola, io la conosco, piacere mio.»
In effetti mi era già capitato di andare con lui, colleghi e superiori a Londra. Quando si andava con il "titolare" nei punti vendita con la schiera di dirigenti marketing, ogni volta lui rompeva gli indugi e intervistava direttamente, con un sorriso, la commessa di Tesco o l’indiano Patel del negozietto di Heathrow per capire il gradimento dell’ovetto di cioccolata e i risultati di vendita delle praline.
Ma non mi ero mai trovato a tu per tu, soli io e lui, come quella volta in ascensore. Dopo lo scambio di saluti mi assestai il nodo scapino della cravatta regimental e, arrivati al piano, ci salutammo di nuovo.
Ero contento di essere entrato in quella famiglia. E la Ferrero lo è: in famiglia ci si rimbocca le maniche come i dipendenti dell’azienda dolciaria quando la mattina del 6 novembre del ‘94, dopo una notte buia scossa dall’ululato della sirena fattosi lugubre per il freddo, guardarono sgomenti il sottopasso ferroviario allagato di fango, acqua e sorpresine gialle degli ovetti, nel silenzio assordante della pioggia e del pianto, come i partigiani il 2 novembre del ‘44. La sera prima il Tanaro aveva esondato fin dentro lo stabilimento, da settanta centimetri a tre metri. Centocinquanta lavoratori erano rimasti bloccati dentro. Altri dipendenti accorsero in fabbrica per spalare il fango e pulire i macchinari. L’11 novembre, mentre pulivano gli impianti, furono chiamati dal «signor Pietro» (così chiamavano affettuosamente il figlio maggiore del «signor Michele»), che sul pianale di un camion nel cortile della fabbrica ringraziò tutti.
Tale il padre, tale il figlio. Quando Michele vedeva qualcuno, il primo a salutare era lui, umile nonostante le ricchezze.
Quella dei Ferrero è fortuna meritata, che ha generato a sua volta prosperità per un territorio via via diventato grande come il mondo. Michele ha dimostrato che le grandi imprese appartengono agli umili. Specialmente se geniali come lui. Grazie. (TERESIO ASOLA)
Michele Ferrero, primo fra gli italiani per ricchezza, meritata, ha raggiunto la sua Madonnina, di cui tanto era devoto.
In Ferrero, azienda grande non soltanto per dimensioni, venni assunto nell’84. Seguivo gli sviluppi di mercato di certi prodotti sperimentali in Gran Bretagna e Lussemburgo. Ero felice.
Pochi giorni dopo la laurea, imbattutomi per caso nel signor Ferrero in un ascensore del centro direzionale di Pino Torinese, salutai imbarazzato «buongiorno signor Ferrero sono il signor Asola, molto lieto», e gli porsi la mano. Lui me la strinse, mi sorrise e mi corresse «il dottor Asola, io la conosco, piacere mio.»
In effetti mi era già capitato di andare con lui, colleghi e superiori a Londra. Quando si andava con il "titolare" nei punti vendita con la schiera di dirigenti marketing, ogni volta lui rompeva gli indugi e intervistava direttamente, con un sorriso, la commessa di Tesco o l’indiano Patel del negozietto di Heathrow per capire il gradimento dell’ovetto di cioccolata e i risultati di vendita delle praline.
Ma non mi ero mai trovato a tu per tu, soli io e lui, come quella volta in ascensore. Dopo lo scambio di saluti mi assestai il nodo scapino della cravatta regimental e, arrivati al piano, ci salutammo di nuovo.
Ero contento di essere entrato in quella famiglia. E la Ferrero lo è: in famiglia ci si rimbocca le maniche come i dipendenti dell’azienda dolciaria quando la mattina del 6 novembre del ‘94, dopo una notte buia scossa dall’ululato della sirena fattosi lugubre per il freddo, guardarono sgomenti il sottopasso ferroviario allagato di fango, acqua e sorpresine gialle degli ovetti, nel silenzio assordante della pioggia e del pianto, come i partigiani il 2 novembre del ‘44. La sera prima il Tanaro aveva esondato fin dentro lo stabilimento, da settanta centimetri a tre metri. Centocinquanta lavoratori erano rimasti bloccati dentro. Altri dipendenti accorsero in fabbrica per spalare il fango e pulire i macchinari. L’11 novembre, mentre pulivano gli impianti, furono chiamati dal «signor Pietro» (così chiamavano affettuosamente il figlio maggiore del «signor Michele»), che sul pianale di un camion nel cortile della fabbrica ringraziò tutti.
Tale il padre, tale il figlio. Quando Michele vedeva qualcuno, il primo a salutare era lui, umile nonostante le ricchezze.
Quella dei Ferrero è fortuna meritata, che ha generato a sua volta prosperità per un territorio via via diventato grande come il mondo. Michele ha dimostrato che le grandi imprese appartengono agli umili. Specialmente se geniali come lui. Grazie. (TERESIO ASOLA)
Michele Ferrero, ci ha lasciato, da oggi non ci sarà più il padre di
questa città, ci dovremo abituare, sarà difficile molto difficile. Quando viene a mancare un padre il dolore non può che essere grande. Era
un padre speciale che ha sempre pensato prima di tutto ai i lavoratori e
alla sua Fabbrica del cioccolato. Domani saranno in tanti a piangere e a
ricordare un personaggio unico, assolutamente unico. Fino all’ultimo
dei giorni ha pensato sempre e soltanto al lavoro, a inventare a
realizzare idee che diventavano prodotti amati e largamente consumati in
tutto il mondo. La città si prepara all’ultimo saluto per non
dimenticare un uomo onesto che ci ha regalato un sogno che preserveremo
come un bene prezioso e impareggiabile - Ciao Michele
(Bruno Murialdo)
(Bruno Murialdo)
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