Il giovanotto francese che tra i sedici ed i diciannove anni scriveva autentici capolavori e che faceva sesso selvaggio con Verlaine, sposato e padre, che per lui abbandonò il tetto coniugale e subì un umiliante processo per pedofilia, dopo avergli sparato con una pistola, divenne uno scandalo in patria. Si diede ad una vita dissipata assieme al suo amante, fu accusato di vagabondaggio, visse una vita irrequieta, praticò ogni dissolutezza per "arrivare all'ignoto attraverso la sregolatezza di tutti i sensi», fu definito da Charles de Sivry, cognato di Verlaine, «un ignobile, vizioso, disgustoso, indecente piccolo scolaro». Rimbaud Girò mezza Europa a piedi, non avendo soldi per potersi spostare, e ad un certo punto abbandonò la letteratura, senza farne più cenno, forse perché troppo giovane e inesperto dei meccanismi editoriali, troppo orgoglioso, troppo impaziente, gli preclusero tale successo. Vivrà come agente commerciale in Abissinia. Tornerà in Francia per farsi amputare una gamba e poco dopo morirà, come in un triste, drammatico, edificante romanzo romantico.
(Fanpage) - “Non sono venuto qui per essere felice” è il titolo della recente
pubblicazione, a cura di Vito Sorbello per i tipi di Aragno, delle
lettere di Arthur Rimbaud (1854 – 1891). Due volumi che ci svelano
aspetti poco noti della vita del grande poeta di Charleville, dalla fuga
in Africa all’ultima corsa verso Aden su una barella e con la gamba in
cancrena.
La vita di Arthur Rimbaud, il profeta contadino, si svolse in giro per il mondo
in costante tensione tra fuga verso Parigi e poi da Parigi e ritorno
alla sua odiata/amata Charleville, un paesino nella regione della
Champagne-Ardenne nel nord della Francia. Mentre nella capitale francese
nasceva la sua leggenda e si fantasticava sulla sua fuga in Africa, (si
diceva infatti che fosse tornato allo stato di natura diventando il re
di un popolo selvaggio) egli in realtà si inventò imprenditore
viaggiando con lo zaino colmo di manuali di idraulica a falegnameria. Ad
Harar contrasse la sifilide, primo inciampo di una serie sfortunata di
eventi, e si comprò una schiava abissina che, a quanto risluta, trattò
con rispetto e mandò a scuola dai missionari.
Certo Rimbaud aveva già scandalizzato mezza Francia e non solo
per i suoi comportamenti bizzarri, per l’abbigliamento molto trasandato
e per i pidocchi che aveva nei capelli e che lanciava addosso a
chiunque gli stesse antipatico. Egli fu anche protagonista di uno dei
gossip più discussi dell’epoca, la fuga d’amore col poeta Paul Verlaine
che per lui lasciò il tetto coniugale lasciandosi trascinare a Bruxelles
dove l’alcol, la droga e gli ambienti malfamati li ridussero al rango
di reietti. Dopo alcuni mesi finirono addirittura quasi con l’ammazzarsi
l’un l’altro a causa di un violento litigio (Verlaine ferì il giovane
Arthur al polso con una rivoltella). Dopo la rottura Rimbaud si arruolò,
sempre in Belgio, nelle truppe coloniali in partenza per Giava, ma poi
finì col disertare.
L’ultima avventura del “poeta maledetto” fu su una
barella con la gamba in cancrena, trasportato dagli indigeni verso Aden.
Lì subì l’amputazione dell’arto e mai si adatto alla protesi che i
medici gli raccomandavano. Fece ritorno, ancora una volta, alla sua
Charleville, ormai invalido e immobile lontano dagli anni ruggenti che
lo avevano visto partecipare ai tumulti della Comune di Parigi e dalla
fughe per l’Europa. Passò gli ultimi anni della sua vita tra dolore e
disperazione esattamente come lui aveva inteso la missione del poeta
veggente, in opposizione netta al desolante ottimismo del secolo in cui
visse.
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