giovedì 12 agosto 2021

CAIRANO E ANDRETTA, ALTA IRPINIA. TOUR ESTIVO NELLE TERRE DI CONFINE

L’Alta Irpinia è un luogo quasi metafisico, sospeso in una dimensione pressoché fuori dal tempo e dallo spazio. È talmente mal collegata al resto del mondo che costituisce un universo a sé stante, in cui trovare momentaneo riposo, tranquillità e pace, silenzi sovrumani e profondissima quiete. Non è raro che io stessa senta il bisogno di tuffarmi in queste atmosfere così sospese e ai margini, anche se alle volte mi chiedo come sarebbe vivere tutti i giorni in questi posti. Magari non lo reggerei.


Arrivo a Cairano ed Andretta in una torrida giornata di agosto, con un sole così pieno e forte che bagna le pietre delle case e le strade di questi due paesi divisi da pochi minuti di auto. Come sempre, per arrivare in questi luoghi, per intenderci, quelli che dopo Vallata ti portano a Lacedonia, Trevico, Bisaccia, Calitri, Conza della Campania e i due citati sopra, oltre a molti altri che per comodità di narrazione ometto, bisogna percorrere un mucchio di strada ed affrontare strade tra i boschi, inerpicarsi in interminabili parchi dove l’eolico ha attecchito in grande quantità, armarsi di santa pazienza e fare anche delle prove di percorso perché, e mi è capitato, il navigatore satellitare si imbroglia e non sai dove sei finito. Tra queste alture al confine tra Campania, Puglia e Basilicata, comprese tra i settecento e gli ottocento metri di altezza, si respira un’aria incontaminata e si vedono distese che si perdono all’orizzonte, spesso senza avvistare altri paesi nei paraggi, cosa che alimenta quel senso di distanza e di marginalità che caratterizza questi paesi. Si tratta di comunità piuttosto piccole: Andretta ha 1700 abitanti circa, Cairano è sotto i trecento. Camminando tra chiese e palazzi storici, piazze di paese, case basse, vecchi ruderi, porte decadenti, muri scrostati, boschi curati e paesaggi mozzafiato, si ha proprio la netta sensazione di trovarsi in luoghi destinati all’abbandono perenne. Quella sensazione di essere luoghi solo di passaggio di esistenze che non attendono altro che superare quei confini, quella marginalità fatta di silenzi, e di esprimersi in un altrove, dove la vita sia anche più movimentata e piena. Luoghi provvisori. Comunità provvisorie.

Spesso sento dire dagli anziani che abitano in questi posti che «qui non c’è lavoro». E sempre mi rendo conto che la principale difficoltà è proprio legata all’inesistenza di collegamenti degni del XXI secolo. Come se questo angolo di mondo sia rimasto a quello che Francesco De Santis, uno dei suoi cantori più straordinari, affermava 150 anni fa (nell’opera Un viaggio elettorale): e cioè che il problema dell’Alta Irpinia risieda proprio nella mancanza di una rete stradale efficiente. È questa la premessa principale per diventare una terra che attrae visitatori e investimenti. Se questa premessa manca, è piuttosto chiaro che i giovani immaginino un altrove dove essere maggiormente in contatto con il mondo, al di fuori di quei confini così silenziosi e di quella marginalità che si fa anche fatica a descrivere in maniera efficace.


Cairano

Non trovo dépliant o uffici del turismo ad attendermi. Ci sono manifesti di qualche raro evento paesano, come ad esempio un cartellone teatrale che spicca sulla facciata del Municipio di Cairano o qualche lapide che commemora i grandi uomini del passato. All’ingresso di Cairano c’è un bar molto accogliente dove la giovane barista sembra una star e ci sono anche dei giovanissimi che si offrono di scortarmi in centro paese. Sono ragazzi molto carini educati e gentili, fanno le scuole superiori. Nel pomeriggio sono impegnati con l’organizzazione di un ricevimento per una cerimonia di nozze. Ci sono dei tavoli per mangiare a picco su una terrazza con vista sulla centrale Chiesa di San Martino e altri sistemati in una parte dove anche i ruderi diventano un motivo di attrazione. È questa ricostruzione incompleta che mi destabilizza un po’. Non conosco la storia architettonica di questo piccolo centro, ma mi basta sapere che anche qui la ricostruzione è seguita al terremoto dell’80 e notare che accanto a ciò che si è recuperato in un modo o nell’altro, continuano a sopravvivere case fatiscenti e residui di costruzioni del passato. Poi giungo sulla punta estrema del paese e mi si apre davanti la visione paradisiaca del sottostante Lago di Conza. Immenso e azzurrissimo, sospeso tra vallate e cielo. Ne resto incantata. Non mi staccherei più da lì. È una di quelle meraviglie del creato per le quali non c’è green pass che tenga. Allora mi dico che la debolezza di questa Irpinia alta e lontana dal mondo, è forse anche la sua forza: qui capisci che cosa è veramente importante. Qui ti ritrovi per davvero.

Lago di Conza visto dalla cima di Cairano

Cairano, a vederlo dal basso, appare di forma triangolare come una piramide egizia. Si sale con l’automobile e poi ti si apre davanti una cascata di case che si distende sul crinale di questa altura che lo sostiene e lo protegge. Proprio come tutti i posti di frontiera, che in passato erano avamposti contro gli eserciti nemici ed offrivano riparo e sicurezza ai suoi abitanti. E la stessa posizione di difesa strategica caratterizza anche l’abitato di Andretta che, come ho detto, è a pochi minuti di macchina da Cairano.

Andretta

Arrivo in una gradevole piazza su cui si stagliano il Municipio ed un enorme mappamondo, poi più in là un monumento ai caduti e diversi esercizi commerciali. È primo pomeriggio, per strada non c’è nessuno. Incontro solo una signora che mi indica la strada per il mistico Monte Airola, dall’alto del quale si gode la visione delle vallate sottostanti ed il simpatico profilo del paese. In cima al monte si staglia una gigantesca croce in ferro. Il percorso è segnato dalle stazioni che raffigurano la passione di Cristo. C’è un altare in pietra ed un’edicola con all’interno delle maioliche con scene dedicate alla Madonna della Medaglia. L’edicola è sovrastata da una enorme statua della Madonna che guarda verso Andretta. Il tutto è ricavato da cavità naturali. In cima, si può fare una passeggiata rigenerante dentro una pineta profumatissima.

Il caldo eccessivo mi impedisce di fare il giro completo del paese, ma riesco ad arrivare fino alla gradevole Piazza Francesco Tedesco, dedicata a questa figura di magistrato e politico del Regno d’Italia, e poi a risalire lungo Via Francesco De Sanctis, dove sosto per un momento al Ristorante da Ciccillo dove, come ricorda una grossa targa sulla facciata esterna, il cantante Vinicio Capossela ha buttato giù i suoi primi appunti e dove ama rifugiarsi ogni volta che gli è possibile.


L’Alta Irpinia è lì, sospesa in una dimensione fuori del tempo e dello spazio, un mondo a parte con le sue strade difficili, i suoi silenzi irreali, i suoi tesori che non amano fare mostra di se e che infatti, troppo spesso, non fruiscono neppure di campagne mirate di comunicazione. Con le sue comari di paese che non brillano certo di iniziativa e che non pensano che animare di vita culturale, di eventi e di infrastrutture questi centri significherebbe sottrarli a quella stagnazione che spesso si percepisce tra questi luoghi affascinanti. Di fatto, per i “grandi eventi” mi viene solo da pensare a quelli che si svolgono a Cairano (Sponz Fest) e a Monteverde (Grande Spettacolo dell’Acqua). Ma se ogni posto che esiste ha un suo perché, allora ha i suoi perché anche recarsi per una vacanza breve o più lunga in Alta Irpinia. Come ha detto una mia amica: «C’è un’umanità difficile da dimenticare». Che poi, per le vicende storiche e geografiche che hanno segnato queste terre, la trovi sparsa in giro per l’Italia e per il mondo. Quei paesi sono lì: indistruttibili nella loro identità. Orgogliosi a guardia delle loro alture. Fieri del loro essere ai margini. Fuori dall’omologazione consumistica.

La mia anima di quando in quando sente il bisogno di accostarvisi in religioso silenzio ed in meditazione assorta, anche se per poche ore.

Foto (c) Lucia Gangale

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