sabato 20 gennaio 2018

LA SQUALLIDA BATTUTA SU CLARETTA PETACCI

Nei libri di Storia per le scuole superiori non viene mai scritto. Claretta Petacci, amante del Duce nei primi anni Trenta, prima di essere giustiziata, fu più volte stuprata da Martino Caserotti, un partigiano che conservò scarpe e foulard della donna per tutta la vita. 
Poca attenzione, parimenti, è dedicata agli ultimi istanti di vita di questa sfortunata donna, colpevole solo di essersi innamorata di Mussolini e di essere rimasta al suo fianco fino alla fine. Fu fucilata senza processo ed appesa per i piedi, tra sputi e oltraggi vari al cadavere, a piazzale Loreto a Milano. Come ha detto Vittorio Sgarbi, fu «caso palese di femminicidio aggravato da un cieco desiderio di vendetta».
Durante la trasmissione condotta di martedì su La/ da Giovanni Floris, per descrivere Roma governata dai grillini ha detto: «È una femmina, un maiale femmina, si chiama Claretta Petacci».
La pessima battuta da osteria di quart'ordine, ha suscitato la stupida risatina di Floris. Ma anche la reazione del nipote della Petacci, Emilio Persichetti, avvocato presso un importante studio legale a Roma, che sta meditando di querelare Gnocchi. 
Che dire? Lo sbandierato diritto alla satira che serve da paravento contro le battute allucinanti uscite dalla bocca di quello che è stato definito nei modi più vari (da "comico fallito" ad altre veramente molto più dure e impronunciabili), sono il segnale del degrado culturale e civile nel quale il nostro amato Paese è oramai sprofondato da tanto, troppo tempo.

E di un vuoto di riflessione storica che, più che mai, urge in questo momento.
Alla faccia di tutti i capocomici e dei giornalisti prezzolati che affollano i salotti televisivi.


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