domenica 30 novembre 2014
WOMEN OF VISION
Dal 25 ottobre 2014 all' 11 gennaio 2015, Palazzo Madama a Torino ospita la mostra 'Women of Vision', i grandi scatti del National Geographic. Undici grandi fotografe per 99 fotografie. "Ci sono veterane come Lynn Johnson, Jodi Cobb e Maggie Steber, e talenti
emergenti come Erika Larsen e Kitra Cahana. Ci sono artiste che hanno
dedicato la loro carriera a raccontare la società e la condizione
femminile, altre che hanno immortalato paesaggi onirici, altre ancora
che hanno scelto per missione la conservazione della natura e la tutela
dell’ambiente" (dal sito di Palazzo Madama).
Le fotografe in mostra: Lynsey Addario; Jodi Cobb; Kitra Cahana; Diane
Cook; Carolyn Drake; Lynn Johnson; Beverly Joubert; Erika Larsen;
Stephanie Sinclair; Maggie Steber; Amy Toensing
martedì 25 novembre 2014
L'UOMO CHE SALVO' LA GIOCONDA
La Stampa, martedì 25 novembre 2014
Il 25 agosto 1939,
sei giorni prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, un eroe
dimenticato che si chiamava Jacques Jaujard fece appendere un cartello
all’ingresso del Louvre, avvisando i visitatori che il museo sarebbe
rimasto chiuso per alcuni giorni a causa di lavori urgenti. Subito dopo
avere sbarrato i portoni, decine di uscieri, guide, impiegati, e
professori e studenti dell’Accademia diedero inizio in segreto alla più
grande operazione di salvataggio dei maggiori capolavori dell’arte,
minacciati dal sicuro arrivo dei nazisti e dalle bombe che presto
sarebbero cadute su Parigi. In pochi giorni, 3.690 dipinti furono
staccati dai muri e imballati in 1.862 casse bianche. Le statue vennero
imbottiture prima di essere caricate sui camion. Dal Louvre partirono
203 veicoli, in 37 convogli diretti verso i castelli della Loira o
anonimi paesi di campagna, lontani dagli obiettivi di Hitler.
Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi.
Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi.
Vittorio Sabadin
BERRETTE E BOLLETTE
Ogni cosa in natura esiste finché ha un senso e soddisfa un
bisogno. In caso contrario scompare. Che senso hanno oggi i partiti? Che
bisogno soddisfano? Ho letto dotte analisi dell’astensionismo alle
elezioni regionali nella rossa Emilia. Alcune faziose, come quella che
attribuisce all’ultimo arrivato Renzi la responsabilità di un fenomeno
in corso da decenni, ma altre ineccepibili: la crisi economica, gli
scandali, il disprezzo per la classe politica e l’istituzione regionale,
l’assenza di un avversario in grado di mobilitare gli elettori sotto la
spinta della paura. Però mi sembrano tutte cause di secondo livello. La
ragione primaria, e più prosaica, della decadenza dei partiti (e dei
sindacati) è che hanno rinunciato a svolgere il loro mestiere di
assistenza dei cittadini.
Nel quartiere di Torino dove sono cresciuto abitavano due vecchiette.
Una votava Pci e l’altra Dc. Se aveste chiesto loro perché, non credo
che avrebbero saputo darvi una risposta «politica». La prima bazzicava
la sezione del Pci per farsi compilare gratuitamente la dichiarazione
dei redditi e ricevere utili dritte su medici curanti e impiegati
comunali a cui rivolgersi per dilazionare il pagamento di una bolletta.
La seconda frequentava gli oratori e cuciva berrette di lana per i
poveri che venivano vendute nelle sagre paesane della Dc. Quei partiti
di massa, di cui ignoravano le basi ideologiche, facevano parte della
loro vita. Podemos, il movimento che promette o minaccia di vincere le
prossime elezioni spagnole, è ripartito da lì: dalle berrette e dalle
bollette. Che non bastano a fare un partito. Ma senza le quali qualsiasi
partito cessa di esistere.
sabato 22 novembre 2014
sabato 8 novembre 2014
CATERINUCCIA MIA, CERCAMO A VIVE
Caterinuccia mia, cercamo a vive',
E amasse sempre quanto se po' amà;
E tutte le linguaccie più cattive
Mezzo bajocco l'êmo da contà.
'R sole, lo sai, se va a corcà la notte,
Ma er giorno doppo pole arivenì:
Noi, 'na vorta ch'annamo a fasse fotte,
Se svejamo cor c.... Caterì!
Mille baci, poi cento, poi artre mille,
Poi doppo cento baci m'hai da dà;
Poi ciarifamo e annamo fino ar mille,
Poi doppo cento, e po' un'infinità.
Allora, quanno se ne semo fatte
Una brava magnata da crepà;
Pe' nun potelli più manco aribbatte,
'Na bona smuscinata je se dà:
Che gnuno possa prennese l'impiccio
De facce i conti addosso, e doppo po'
Ce vienghi a ffà magara l'occhiaticcio,
Quanno sapesse quanti baci so'
(G. Martellotti, Roma, 1892)
E amasse sempre quanto se po' amà;
E tutte le linguaccie più cattive
Mezzo bajocco l'êmo da contà.
'R sole, lo sai, se va a corcà la notte,
Ma er giorno doppo pole arivenì:
Noi, 'na vorta ch'annamo a fasse fotte,
Se svejamo cor c.... Caterì!
Mille baci, poi cento, poi artre mille,
Poi doppo cento baci m'hai da dà;
Poi ciarifamo e annamo fino ar mille,
Poi doppo cento, e po' un'infinità.
Allora, quanno se ne semo fatte
Una brava magnata da crepà;
Pe' nun potelli più manco aribbatte,
'Na bona smuscinata je se dà:
Che gnuno possa prennese l'impiccio
De facce i conti addosso, e doppo po'
Ce vienghi a ffà magara l'occhiaticcio,
Quanno sapesse quanti baci so'
(G. Martellotti, Roma, 1892)
mercoledì 5 novembre 2014
LA PITTURA DI FELICE CASORATI IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE FERRERO DI ALBA
Fino al 25 febbraio 2015 la pittura di Felice Casorati è in mostra alla Fondazione Ferrero di Alba. Felice Casorati. Collezioni e mostre tra Europa e Americhe − curata da
Giorgina Bertolino, coautrice del Catalogo Generale dei dipinti
dell’artista - è una personale dedicata alla ricerca, alla storia
pubblica e alla ricezione internazionale della pittura casoratiana,
dagli anni Dieci agli anni Cinquanta del Novecento. Molti dei soggetti esposti sono degli inediti espositivi per le centinaia di visitatori che in questi giorni stanno affollando le sale della Fondazione. L'essenzialità della pittura casoratiana attirò anche l'interesse di una fine critica d'arte come Margherita Sarfatti, nota, tra l'altro, per essere stata una delle amanti del Duce. Nel video, Casorati si racconta.
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