martedì 24 febbraio 2009

L'UOMO QUANTUNQUE

LA STAMPA 24/2/2009
Ogni sera, al Festival di Sanremo, il cantante Masini lanciava la sua invettiva contro l’Italia, «un Paese che c’ha rotto i coglioni». E ogni sera, immancabilmente, a quel passaggio il pubblico esplodeva in un applauso liberatorio. Il siparietto si è ripetuto a «Domenica In», tanto che Pippo Baudo si è sentito giustamente in dovere di chiedere «ma voi per chi avete votato?», ottenendo in risposta un significativo silenzio.Nella lunga storia del qualunquismo, l’ovazione antiitaliana del loggione festivaliero rappresenta un’evoluzione anche rispetto ai «vaffa» di Grillo. Quelli si rivolgevano ancora a soggetti specifici, nomi e cognomi additati al pubblico ludibrio come responsabili dello sfascio. Qui invece siamo al disprezzo generico per uno Stato che nessuno difende e per il quale nessuno si offende, perché nessuno immagina di farne parte. Fatico a immaginare una folla francese che applaude un cantante francese che insulta la Francia durante il festival della canzone francese. Ma chi applaudiva Masini non si sentiva affatto coinvolto. L’Italia che «c’ha rotto i coglioni» era il politico della fazione avversa e anche quello della propria. Era il centravanti della squadra rivale, il vigile col vizio della multa compulsiva, la maestra crudele che dà un votaccio al pupo di casa. Era il capufficio arrogante, il vicino invadente, il coniuge assente. Insomma, ad averci «rotto» è un Paese composto da 60 milioni di persone meno una. E l’applauso all’insulto, un modo come un altro per prendere le distanze da quei 60 milioni, meno uno, di italiani veri.
MASSIMO GRAMELLINI

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