AUTODEFINIZIONE
(María Teresa de las Mercedes Wilms Montt)
Sono Teresa Wilms Montt
e anche se sono nata cento anni prima di te,
la mia vita non è stata tanto diversa dalla tua.
Anche io ho avuto il privilegio d’essere donna.
È difficile essere donne in questo mondo.
Tu lo sai meglio di tutti.
Ho vissuto intensamente ogni respiro e ogni istante della mia vita.
Ho distillato una donna.
Hanno cercato di reprimermi ma non ci sono riusciti con me.
Quando mi hanno voltato le spalle, io ci ho messo la faccia.
Quando mi hanno lasciato sola, ho dato compagnia
Quando hanno voluto uccidermi, ho dato vita.
Quando hanno voluto rinchiudermi, ho cercato la libertà.
Quando mi amavano senza amore, ho dato ancora più amore.
Quando hanno cercato di zittirmi, ho urlato.
Quando mi hanno picchiato, ho risposto.
Sono stata crocefissa, morta e sepolta,
dalla mia famiglia e la società.
Sono nata cento anni prima di te
comunque ti vedo uguale a me.
Sono Teresa Wilms Montt,
e non sono adatta per le signorine.
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(Maledetti Poeti) <<Non ho nulla, non lascio nulla, non chiedo nulla. Nuda come
sono nata me ne vado, ignorante di ciò che il mondo aveva. Ho sofferto ed è l'unico bagaglio che ammette la barca che porta all'oblio.>>
sono nata me ne vado, ignorante di ciò che il mondo aveva. Ho sofferto ed è l'unico bagaglio che ammette la barca che porta all'oblio.>>
*Ultime parole scritte sul suo diario dalla poetessa cilena Teresa Wilms Montt (Viña del Mar, 1893 - Parigi, 1921) poco prima di tentare il suicidio assumendo una dose eccessiva di acido barbiturico. L'overdose di sedativo l'avrebbe portata alla morte due giorni dopo nell'ospedale Leannec della capitale francese, alla vigilia del Natale del suo ventottesimo anno di vita.
Erede di una famiglia aristocratica di origine europea, madre catalana e padre discendente della dinastia reale prussiana degli Hohenzollern, l'inquieta autrice sudamericana si ribellò ai genitori a soli 17 anni sposando contro la loro volontà un funzionario statale senza risorse, Gustavo Balmaceda Valdés.
Accusata di adulterio, fu rinchiusa in un convento, da cui fuggì nel 1916 alla volta di Buenos Aires prima e di Parigi dopo, con l'aiuto dell'amico poeta Vicente Huidobro. In Francia visse da bohémien, frequentando i maggiori intellettuali ed artisti dell'epoca ed affermandosi nei salotti mondani grazie alla sua avvenenza ed alle sue qualità di poetessa e narratrice.
La bellezza e la fama di donna dissoluta, dedita all'alcool ed alle droghe, ne oscurarono dopo la tragica morte i reali meriti letterari, che furono portati alla luce solo in occasione del centenario della sua nascita. Nel 1993, infatti, la critica Ruth González Vergara pubblicherà con l'editore spagnolo Grijalbo la biografia dal titolo 'Teresa Wilms Montt: un canto de libertad', a cui farà seguito due anni dopo un volume che contiene l'opera completa della scrittrice, curato dalla stessa Vergara, e, nel 2009, il film 'Teresa, crocifissa per amare'.
Venne così riabilitata e ricondotta nella giusta prospettiva la figura romanzesca dell'anticonformista nobile cilena, come sottolinea la traduttrice di lingua italiana Barbara Herzog: "La scrittura di Teresa Wilms Montt è insieme sublime e semplice. Raccoglie in sé il prorompente senso di meraviglia della gioventù quanto la visione amplificata di una maturità travolgente. Donna appassionata e ribelle, cerca di allontanarsi dalla grettezza e brutalità e viene punita con la clausura forzata e la privazione delle proprie figliolette. Irrequieta, viaggiatrice e sinceramente stimata nei circoli di artisti e intellettuali di altri paesi, riesce a trasformare in versi di struggente bellezza l’agonia dell’assenza, come la sublimazione dell’amore dall’erotico, al compianto, al celestiale."
LA LUCE DELLA LAMPADA
La luce della lampada, resa tenue dal paralume viola, sviene sopra il tavolo.
Gli oggetti assumono una tinta sonnambula da sogno malaticcio;
si direbbe che una mano tisica abbia accarezzato l’ambiente, lasciandovi il suo languore aristocratico.
Una campana impietosa ripete l’ora e mi fa capire che vivo, e mi ricorda, anche, che soffro.
Soffro di uno strano malessere che ferisce narcotizzando; mal di amori, di incomprese grandezze, di infiniti ideali.
Malessere che mi incita a vivere in un altro cuore, per riposare dall’arduo compito di vivere dentro me stessa.
Come gli assetati desiderano l’acqua, così io bramo che il mio orecchio senta una voce che mi prometta dolcezze estasianti;
bramo che la manina di una bambina si posi sopra le mie palpebre stanche di vegliare e rassereni la mia anima ribelle, avventuriera.
Così vorrei morire, come la luce della lampada sopra le cose, sparsa in ombre delicate e tremolanti.

