AUTODEFINIZIONE
sono nata me ne vado, ignorante di ciò che il mondo aveva. Ho sofferto ed è l'unico bagaglio che ammette la barca che porta all'oblio.>>
Note di costume e società. Web diary of social cognizer.
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Il racconto è questo:
Un giorno un sultano volle decorare in modo particolarmente bello una sala del suo palazzo. Per questo fece venire due gruppi di pittori da luoghi molto lontani tra loro: Bisanzio e la Cina. Ogni gruppo avrebbe dipinto l'affresco in una delle due grandi pareti parallele del salone, senza poter sapere ciò che avrebbe dipinto l'altro. Assegnò a ciascun gruppo una parete senza permettere che entrassero in comunicazione; nel mezzo della sala una tenda debitamente collocata impediva qualsiasi tipo di comunicazione tra i pittori ai due lati. Quando l'opera fu terminata il sultano si diresse prima a ispezionare l'affresco dipinto dai cinesi. In verità era di una bellezza meravigliosa. "Nulla può essere più bello di questo" disse il Sultano e, con questa convinzione, fece scorrere la tenda perché apparisse la parete dipinta dai greci di Bisanzio. Ma in quella parete non era dipinto nulla, i greci l'avevano soltanto pulita e ripulita fino a mutarla in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva come in un mezzo più puro le forme sulla parete cinese. Le forme e i colori acquistavano una bellezza inimmaginabile che non sembrava più appartenere a questo mondo: una nuova dimensione, per gli occhi e per lo sguardo umano.
La lezione che si impara da questa storia è simile a quella delle parabole, degli apologhi, dei miti e di tutto ciò che ha un senso simbolico, multiplo. Per iniziare a comprenderne un po' di lezione, tutta non è possibile, pensiamo a cosa sarebbe accaduto se i cinesi, con la stessa finezza dei greci, avessero fatto la stessa cosa: questo era il massimo rischio come lo è in ogni sottigliezza estrema, cioè che l'altro sia fine allo stesso modo. In questo caso, la sala sarebbe rimasta come un luogo privilegiato perché la luce vi si raccogliesse, perché viaggiasse da una parete all'altra e mostrasse ciò che ha di simile alle creature alate: una colomba che sorge dalla luce quando le si dà l'occasione di farlo.
Se l'affresco dipinto dagli artisti cinesi fosse stato mediocre, allora la sua opacità nel riflettersi nello specchio dalla bianchezza incandescente sarebbe stata riscattata, come accade alle immagini riflesse sull'acqua. La lezione, a nostro parere, è questa: nulla è brutto se si guarda attraverso un altro mezzo più puro e più intellegibile. Ma portando alle estreme conseguenze questo caso, si potrebbe dire che lo sguardo sarebbe capace di riscattare ogni bruttura, ogni mediocrità, purché sia lo sguardo di chi sappia, guardando, creare un mezzo purificato e lavato come la parete bizantina.
E si potrebbe continuare, si potrebbe supporre che, prima di fare qualcosa, prima di percepire un'immagine, e prima di pensare, si renda necessario pulire e ripulire lo sguardo, l'anima, la mente fino a che gli assomigli, quanto più umanamente possibile, alla bianchezza che è pura vibrazione, velocissima vibrazione che unisce tutte le vibrazioni che generano il colore, mostrandosi apparentemente come quiete e passività. Ogni lettore può continuare per suo conto la serie delle interpretazioni, poiché ogni capolavoro dello spirito - grande o piccolo che sia - è un racconto senza fine.
Ottobre 1964
Maria Zambrano, Per l'amore e per la libertà, Marietti 1820, 2008, pp. 138-140
Essere umani è la cosa più importante. E significa: essere saldi, lucidi e allegri, sì, allegri nonostante tutto e tutti, perché lamentarsi è il mestiere del debole. Essere umani significa gettare con gioia la propria vita sulla grande bilancia del destino, se i tempi lo richiedono, ma anche sapersi rallegrare di ogni giorno di sole e di ogni splendida nuvola, insomma... non ho ricette per come si debba essere umani, so solo come lo si è, e lo sapevi anche tu ogni volta che andavamo a passeggiare per qualche ora nella campagna di Südende e il tramonto si stendeva rosso sul grano. Pur con tutto il suo orrore il mondo è così bello e lo sarebbe ancora di più se non fosse infestato dai deboli e dai vigliacchi.
Rosa Luxemburg, Dappertutto è la felicità, L'Orma Editore, Roma 2019, p. 45
(La Stampa) Quale dovrebbe essere il compito fondamentale di uno Stato? La risposta che ci proviene dalle voci che stanno all’origine della nostra civiltà è una sola: nutrire, allevare ed educare i giovani. Nutrire e allevare il loro corpo, formare ed educare la loro anima. Nella loro indissolubile unità. Di che cosa infatti dovrebbe avere massima cura una città, una polis retta secondo ragione, se non della propria forza e della propria durata? E che cosa le garantisce se non nuove generazioni attrezzate in tutti i sensi ad affrontare anche l’imprevedibile? È un’idea gerontocratica dell’educazione quella che la riduce essenzialmente a trasmissione di saperi. Educare, come dice la stessa parola, significa trarre fuori dal giovane la potenza che già è in lui, aprire la sua mente, i suoi occhi, e non informarlo di ciò che padri e nonni hanno compreso e vissuto. Educare significa liberare.