sabato 27 gennaio 2024

FAUSTA CIALENTE: IRREDENTISMO E DINTORNI

Gli sloveni, poi, ardentemente cattolici e clericali, sospettavano gl’irredentisti d’essere in gran parte massoni, quindi nemici della chiesa, colpevoli ad ogni modo d’aver commesso il sacrilegio, all’unità d’Italia, d’aver spodestato il Papa. Ma nemmeno i più obiettivi degli osservatori stranieri avrebbero potuto, a quei tempi, prevedere l’immane tragedia alla quale andavano tutti incontro. Ai nipoti regnicoli, cioè italiani, che sarebbero entrati in scena ben più tardi, sarebbe toccato l’amaro destino di assistere al crollo di tanta potenza e tante illusioni, e non perché avessero amato quella potenza e accolto per buone quelle illusioni, ma perché a conti fati la catastrofe della prima guerra mondiale venne a costare all’Europa dieci milioni d’inutili morti.

Ciò che più avrebbe colpito chi avesse voluto esaminare da un punto di vista strettamente economico e sociale la questione irredentista intorno agli anni di quelle liete vendemmie e quei balli alla Filarmonica, avrebbe senza dubbio scoperto, o almeno imparato, come per salvarsi dalla secolare oppressione di Venezia, Trieste aveva dovuto concedersi ai duchi d’Austria pochi secoli dopo il mille; e per molto tempo aveva vivacchiato sfruttando un hinterland che le era completamente straniero, anche per il linguaggio, ma era il solo retroterra di cui poteva disporre. Era quindi curioso, ma soprattutto indicativo d’un certo carattere che una comunità tra il 1500 e il 1600 era calata da dodicimila a cinquemila abitanti, avesse nondimeno continuato a parlare in città e lungo tutto il litorale il suo dialetto veneto; e proprio questo linguaggio avessero astutamente imparato, storpiandolo, i carniolini, i carinziani, gli stiriani. I triestini, imperterriti, non imparavano nulla e ostentavano già allora l’intenzione di condurre traffici e commerci adoperando unicamente il loro dialetto. Ma se intanto non decadeva, Trieste, non era per il buon volere o la generosità degli Asburgo ai quali s’era data in braccio, ma per l’inarrestabile decadenza di Venezia; e se ciò la rendeva sempre più libera di sviluppare i suoi commerci in terra e in mare, fatalmente la incorporava sempre di più nel nascente impero austriaco e andava diventando la porta occidentale d’un immenso retroterra orientale, un destino al quale sembrava naturalmente, geograficamente legata; e la lingua tedesca, quella almeno, avrebbe dovuto parlarla. Una storia così lontana nel tempo che i triestini destinati all’irredentismo adriatico, anche se non l’ignoravano, preferivano fingere d’averla dimenticata, o tutt’al più con l’avvicinarsi dei tempi moderni si accontentavano di vantare, come immancabilmente faceva il padre, il pittoresco cosmopolitismo della città, passato e recente, e quel “mitteleuropeo” ch’era diventato il carattere peculiare di Trieste e della sua cultura. Troppi avvenimenti s’erano accavallati nell’Ottocento che aveva visto nascere non soltanto il padre e la madre, ma anche le loro quattro figliuole, e i sussulti che dopo la bufera del ’48 avevano via via provocato la guerra del ’66, la compiuta unità d’Italia, l’impiccagione di Oberdank, non avevano fatto altro che accrescere ed esasperare l’irredentismo dei triestini non austriacanti, che l’unità consideravano incompiuta, quindi notoriamente invisi al cattolicissimo imperatore.

Era nata intanto, intorno al 1890. La Lega Nazionale in sostituzione di un Pro Patria che Vienna aveva condannato con un decreto di scioglimento perché s’era permesso d’inneggiare pubblicamente alla nascita, in Italia, della “Dante Alighieri”; ma la nova associazione non nascondeva affatto il proposito di continuare a raccogliere fondi per istituire nuove scuole italiane là dove un sentimento d’italianità o d’irredentismo sembrava indebolito o minacciato. Alla Lega avevano subito aderito con entusiasmo il “maestro” e tutta la famiglia, anche le figlie giovinette, e più tardi ancora i nipoti triestini. Era il tempo in cui il liberalmassone Felice Venezian capeggiava l’irredentismo in Trieste, quindi anche la Lega Nazionale, e il suo nome raggiava nella famiglia come una stella di sempre crescente splendore.

Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 43-45

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