sabato 29 gennaio 2022

PERCHE' COSI' TANTI MEDICI DIVENTARONO NAZISTI?

 

Qualunque sia la ragione - dissomiglianza o qualcosa di più sinistro - il linguaggio altera la percezione e la percezione influenza il nostro calcolo etico. Ad esempio, per sostenere l'eutanasia dei disabili, i registi nazisti deliberatamente alteravano l'illuminazione sui volti dei disabili, per renderli più "disumani" nel loro aspetto. La disumanizzazione intenzionale ed enfatizzata ha lo stesso risultato finale sulla nostra percezione di una disumanizzazione lenta e cronica. Semplici gesti, come opporsi pubblicamente a tale linguaggio quando le persone vengono disumanizzate o mostrare una padronanza di sè attraverso esempi di pazienza e persino tenerezza al capezzale dei malati, potranno fare molto per iniziare a capovolgere questa narrazione.


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venerdì 28 gennaio 2022

GIORNATA DELLA MEMORIA - I LAGER NACQUERO FACENDO FINTA DI NIENTE

« Non sono stati Hitler o Himmler a deportarmi, picchiarmi, ad uccidere i miei familiari. Furono il lattaio, il vicino di casa, il calzolaio, il dottore, a cui fu data un'uniforme e credettero di essere la razza superiore. » (Karel Stojka, sopravvissuto ad Auschwitz)

Enzo Biagi: « Signor Levi come nascono i Lager? »
Primo Levi: « Facendo finta di niente. »
« Bisogna ricordare che questi fedeli, e fra questi anche i diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salvo poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque. I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi: sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere, come Eichmann, come Hoess comandante di Auschwitz, come Stangl comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria, come i militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam. » (Primo Levi, “Appendice” all’edizione del 1984 di “Se questo è un uomo”)
*
Auschwitz è stato un dramma. È stato un dramma che il mondo si fosse voltato dall'altra parte.
Quante situazioni analoghe ci sono oggi sul pianeta? Abbiamo forse smesso di girarci dell'altra parte?
Ci diciamo di ricordare perché simili tragedie non accadano più. E mentre lo diciamo ignoriamo che stanno accadendo. E quando siamo chiamati a guardare che accadono – spesso cagionate dall'Occidente –, ancora ci voltiamo dall'altra parte.
Dobbiamo ricordaci che Auschwitz è adesso e che commemorare concretamente le vittime significa prodigarsi – ora, subito – per salvare quante più persone possibile.

GIORNATA DELLA MEMORIA - PRIMO LEVI: "DOPO LA PRIVAZIONE DEI DIRITTI C'E' IL LAGER"

 


GIORNATA DELLA MEMORIA - LE SPLENDIDE CARRIERE ACCADEMICHE DEI FEDELI AL REGIME FASCISTA

Questo brano è tratto da un'intervista a Giorgio Israel, docente di Storia delle matematiche all’Università La Sapienza di Roma e autore insieme a Pietro Nastasi di Scienza e razza nell’Italia fascista. Dei 12 docenti universitari che non giurarono fedeltà al Fascismo si è persa anche la memoria. Molti accademici furono collaborazionisti del regime ed a loro sono oggi intitolate aule universitarie. Nessuno tra questi ultimi perse le proprie posizioni. Anzi, piazzarono anche alcuni loro allievi, i quali, per ringraziamento, dedicarono loro aule, edifici, biblioteche. I fascisti firmatari del Manifesto della razza fecero splendide carriere accademiche, anche gente che scientificamente valeva zero, ma aveva solo un peso decisivo in politica.


"I
n Italia le leggi razziali non furono uno scherzetto fatto per omaggiare Hitler, ma un imponente complesso legislativo e burocratico che investiva ogni aspetto della vita degli ebrei, dei diversi degli inferiori, isolandoli dal resto della popolazione.

In Italia non si propugnava il loro sterminio, bensì l’isolamento e l'espulsione pratica da ogni aspetto della vita civile, e sociale che avrebbe dovuto indurre gli ebrei, e tutti coloro considerati inferiori ad essere isolati, rendendogli la vita impossibile, anche per la difficoltà di lavorare, se non fra loro fino a farli emigrare.
Naturalmente, i soliti giustificazionisti ne hanno tratto spunto per dire che il fascismo “discriminò ma non perseguitò” gli ebrei e i diversi.
Come se essere espulsi dalle scuole, dalle università, dagli uffici pubblici, non poter frequentare certi luoghi ed essere privati del lavoro, e così via, non fosse una persecuzione…”.
[....]
"Sarebbe sbagliato credere che, essendo trascorso mezzo secolo, la ferita si sia del tutto richiusa. Le tracce sono ancora evidenti. Ad esempio, occorre chiedersi perché tante aule universitarie, istituti e dipartimenti portino il nome di scienziati che erano degli esponenti del regime, spesso tra i più fanatici e talvolta anche fautori della politica razziale o addirittura membri del Consiglio Superiore per la Demografia e la Razza. E ho trovato sorprendenti certe reazioni isteriche da parte di alcuni docenti universitari di fronte alla documentazione che prova la compromissione di alcuni “luminari” nella politica razziale, contenuta nel libro da me scritto in collaborazione con Pietro Nastasi. In verità, la risposta è amaramente semplice. E’ così perché la politica razziale ha cambiato il corso della storia dell’università italiana. Ai docenti ebrei scacciati ne sono succeduti altri che non hanno perso la loro posizione dopo la guerra. Al contrario, hanno approfittato delle posizioni lucrate, hanno piazzato i loro allievi e i docenti ebrei reintegrati si sono trovati entro una geografia ormai mutata. Non vi è mai stata alcuna epurazione dei docenti più compromessi. I loro allievi, riconoscenti per la progressione di carriera ottenuta, si sono fatti zelanti difensori della loro memoria, l’hanno esaltata dedicandole aule, edifici, istituti e biblioteche e, in taluni casi, ancor oggi reagiscono con irritazione di fronte ad ogni tentativo di metterla in discussione.
Vorrei, al riguardo, raccontare un aneddoto personale. Mio padre era docente universitario, primo aiuto e principale collaboratore del celebre biologo Giulio Fano. Questi morì pochi anni prima delle leggi razziali e la sua cattedra venne occupata da Sabato Visco, un personaggio privo di valore scientifico, ma di notevole peso politico nel regime, il quale fu poi uno dei firmatari del Manifesto degli Scienziati Razzisti e fu addirittura Capo dell’Ufficio Razza del Ministero della Cultura Popolare. Fu pertanto uno dei principali attori della politica razziale, in particolare nel mondo accademico. Mio padre raccontava delle tirate antisemite che questi gli faceva, seduto alla sua scrivania, roteando un mazzo di chiavi mentre discettava sui difetti e le colpe della “razza ebraica”. Tralascio di parlare delle vicende di mio padre nei suoi rapporti con questo personaggio. Dico soltanto che quando mi iscrissi all’Università scoprii con raccapriccio che il mio libretto universitario era firmato da Sabato Visco, Preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Roma, e che scoprii essere ancora un rispettato personaggio, pieno di cariche e di potere, mentre in casa mia era ricordato come l’emblema dell’efferatezza. Ne parlai con un noto accademico di sinistra della Facoltà (diciamo pure, uno dei “pilastri” della sinistra antifascista dell’Università), esprimendogli il mio stupore. Ne ricevetti la seguente risposta: “E’ vero. Ma è tanto bravo a procurare soldi”. Non credo che siano necessari altri commenti, se non che mi tornano in mente le frasi scritte dal noto fisico Franco Rasetti, di recente scomparso, al suo collega Enrico Persico, subito dopo la fine della guerra (e nelle quali l’allusione a personaggi come Visco è trasparente): “Qui come sai abbiamo fatto la repubblica, alla quale io ho dato il mio voto, ma senza farmi troppe illusioni. Il suo primo atto è stata una pazzesca amnistia che rimette in circolazione ladri, spie fasciste, rastrellatori e torturatori, eccetto quelli le cui torture erano “particolarmente efferate” (sic). Viene proprio il rimpianto di non aver fatto, a suo tempo, il torturatore moderatamente efferato. L’epurazione, come forse saprai, si è risolta in una burletta, e fascistoni e firmatari del manifesto della razza rientrano trionfalmente nelle Università. Ma basta ora con questi disgustosi argomenti”.
27 gennaio 2002

GIORNATA DELLA MEMORIA - I BAMBINI NATI AD AUSCHWITZ


Vi siete mai chiesti quanti bambini nacquero ad Auschwitz? Vi siete mai chiesti quante donne partoritono il frutto delle violenze subite all'interno dal lager?

Un numero preciso non siamo in grado di fornirlo, perché non fu tenuto conto nell'anagrafe del campo di questo dato proprio perché molti di loro vissero solo pochi minuti.
Grazie alla testimonianza di Stanisława Leszczyńska, furono circa 3000 i nati vivi a cui ella prestò personalmente assistenza.
Di questi circa la metà furono soppressi immediatamente dopo il parto dal personale del campo, annegati in un barile. Un altro migliaio circa morirono di fame freddo e malattie.
Era una pratica diffusa bendare il semi alle puerpere proprio per impedire loro l'allattamento, in questo modo era possibile testare la resistenza dei bambini prima di morire di fame. Un'altra pratica adottata ad Auschwitz, ad esempio da Irma Grese, era quella di legare le gambe alle donne durante il travaglio, per assistere alla loro sofferenza e alla morte lenta di mamma e bambino.
Alcuni più fortunati, grazie alle loro caratteristiche somatiche, furono destinati all'adozione di coppie tedesche aderenti al Progetto Lebensborn.
Di quelli che purtroppo rimasero al campo, solo una trentina riuscirono a sopravvivere, insieme alle madri fino a che non arrivarono le truppe alleate.
La registrazione delle nascite avvenne a partire dalla metà del 1943. Prima non era consentito a nessun neonato di sopravvivere ad Auschwitz. Da quella data in poi, sopravvissero solo i neonati destinati ai campi per le famiglie. In questo caso al nuovo nato veniva assegnato un numero, tatuato sulla pelle.
Una volta iniziata la liquidazione del campo, si cercò di uccidere tutti i bambini nati ad Auschwitz. Solo in rare eccezioni riuscirono a salvarsi. È per questo che possiamo affermare con certezza che la quasi totalità dei bambini che nacquero nel campo, perirono nel campo.
Vorrei riportare qui di seguito la testimonianza di un sopravvissuto ad Auschwitz, Roberto Riccardi, che nel suo libro, Sono stato un numero, racconta la testimonianza raccolta da Alberto Sed, durante un'intervista, in cui gli spiegava cosa veniva fatto ai bambini nati da poco.
La brutalità di queste parole non ci può lasciare indifferenti:
"Un giorno io e un altro prigioniero ci trovavamo vicini ai carretti per il trasporto dei bambini. Dovevamo farne salire a bordo alcuni, fino a completare un carico. Una SS si avvicinò, indicò con il dito un bimbo di un paio di mesi e disse al mio compagno di lanciarlo sul carretto. Per rendere l’ordine più chiaro, mimò il gesto con le braccia, disegnando un volo molto ampio.
Lanciarlo? chiese il mio compagno, sbigottito. Il tedesco insisté. Gli puntò contro il fucile, urlò, e a lui non rimase che eseguire. In un istante che durò un’eternità, la SS sollevò la sua arma, prese la mira e sparò al piccolo mentre era in aria, come fosse al poligono di tiro. Lo centrò in pieno. Un suo collega, che osservava la scena da vicino, imprecò. Meno male, pensai, c’è ancora qualcuno che ha nel cuore un po’ di umanità. Ma presto quello che aveva brontolato si calmò, si mise una mano in tasca e prese dei marchi. Accennò a un sorriso sforzato, strinse la mano all’altro e gli consegnò il denaro. Impiegai un po’ per capire. Su quel tiro avevano scommesso, ecco spiegata la delusione del perdente.
Lo vidi fare più volte. Ogni volta eravamo noi a dover portare i bambini ai loro carnefici. Noi a lanciarli in aria, sotto la minaccia delle armi, con le SS che si esercitavano a colpirli mentre erano in volo."
Per non dimenticare, M A I !

mercoledì 26 gennaio 2022

ANGELIQUE DU COUDRAY, PIONIERA DELL'OSTRETRICIA NELLA FRANCIA DEL SETTECENTO

 



Conoscete la storia di Angélique du Coudray, pioniera dell’ostetricia nella Francia del XVIII secolo? Si è battuta per entrare all'università di medicina, allora appannaggio di soli uomini, per garantire l'istruzione superiore anche alle donne che praticavano l'ostetricia. Ha rivoluzionato l’arte del parto e, per incarico del re Luigi XV, per 30 anni ha insegnato le sue tecniche a migliaia di persone in tutto il paese, in un periodo in cui la mortalità infantile raggiungeva picchi elevatissimi. Ha scritto un libro illustrato, tradotto in varie lingue, con 38 capitoli sugli organi riproduttivi femminili, la cura appropriata prenatale, l’ostetricia, i vari problemi durante la nascita e vari casi rari. È rimasta famosa anche per aver costruito il primo manichino ostetrico in cui mostrava l'apparato femminile e le manovre da eseguire. Grazie alle sue lezioni ha rivoluzionato le tecniche del parto salvando milioni di vite. (Da Linkedin)

martedì 25 gennaio 2022

POI FANNO LE "GIORNATE DELLA MEMORIA"...


“Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, yugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali.

Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. Iniziò con la schedatura degli intellettuali. Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione.
Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”. “
Ricordiamo la storia. Finché siamo in tempo.

- PRIMO LEVI

domenica 23 gennaio 2022

L’IMPOSSESSAMENTO DEI CORPI E IL CONSENSO NON INFORMATO


(Patrizia Fermani) - Già anni fa Piero Buscaroli, di fronte a una repubblica parlamentare in via di dissoluzione, con un popolo addomesticato e spogliato delle sue leggi, nel suo ultimo libro chiamava l’Italia “Una nazione in coma”.

Vi era raccontato per brevi pennellate il disfacimento di una entità morale e culturale, culminato simbolicamente nella indecorosa svendita territoriale fatta ad Osimo dai politicanti di allora. Svendita che, due decenni dopo, diventerà la dismissione del patrimonio economico italiano promosso da Draghi sul Britannia. Ma già allora l’autore annotava: «A confronto dei nostri ministri e parlamentari, gli sfruttatori di prostitute ci fanno la figura dei cavalieri antichi. Difendono il tratto di marciapiede soggetto alla loro sovranità».

Oggi l’ottusità, l’arroganza o il cinismo del potere, facendo leva sul fatto pandemico, sembrano portare a compimento quella distruzione finale economica, fisica, giuridica, politica e culturale dell’Italia che toglie anche al popolo la dignità di popolo. 

D’altra parte, l’intreccio tra fenomeno sanitario e strategie di potere è l’ultimo contrassegno di quasi tutto l’occidente. Dove l’occidente non è un dato geografico, ma una ideologia politica con pretese globalizzanti. Un programma e un sistema di governo.

In questo quadro è tornata attualissima, in particolare, quella interpretazione della realtà politica, “occidentale” appunto, elaborata una quarantina d’anni fa da Michel Foucault, imperniata sul concetto di biopolitica e su quello in certo senso complementare di soggettivazione. Concetti che appaiono calzare a pennello alla gestione politica della cosiddetta “crisi pandemica”. 

Foucault, dopo una prima imbarazzata damnatio memoriae per una vita ed una morte ritenute ancora disdicevoli anche alla sinistra di allora, tornò ad essere per essa un punto di riferimento, data l’utilità di quelle idee per la esposizione permanente delle nefandezze naziste che, in mancanza d’altro, servono sempre a misurare i pregi della contemporaneità democratica. Una sorta di Pasolini che, per ironia della sorte, viene invece brandito oggi proprio da una sinistra critica minoritaria contro quella di regime che ha rinnegato se stessa nell’abbraccio mortale con il capitalismo di rapina e si è insediata in tutti i gangli vitali del potere ad ogni livello, mosca cocchiera di ogni degenerazione politica e culturale. 

Biopolitica, come è noto, sta a significare l’impossessamento della vita biologica da parte della politica, che non ha a cuore le esistenze umane in vista del bene comune, come vorrebbe idealmente la sua funzione, ma costruisce modelli di vita biologica funzionali alla logica del potere e a certe allucinate visioni di un mondo globale programmato. In questo quadro anche la parola “politica” appare ormai fuori posto perché in realtà il mero potere si è già sostituito alla politica, abolisce di fatto le istituzioni che diventano soltanto un paravento, una scenografia di comodo. Agisce non solo al di là e al di sopra della polis, ma contro la polis.

La biopolitica è stata ideata e messa in pratica dal nazismo, ma le iniziative postmoderne di manipolazione teorica e pratica dei processi vitali ripercorrono la stessa strada dalla eugenetica, al gender e transgender, alle programmazioni eutanasiche ecc. e ora essa si presenta prepotente nella furia maniacale con cui viene imposta la somministrazione di un farmaco di cui non è assicurata né l’efficacia né l’innocuità.

Contro quell’impossessamento dei corpi praticato dai medici nazisti per motivi che non erano quelli della salute dei pazienti, fu esteso il cosiddetto codice di Norimberga e il “consenso informato” quale difesa dell’individuo di fronte a certe pericolose estensioni del potere politico.

Ora anche se il soggetto interessato non può avvalersi normalmente di informazioni per lui del tutto comprensibili, il suo consenso serve quanto meno per stabilire una sorta di controllo preventivo, e attivare la sua attenzione su quanto lo coinvolge più da vicino. 

Qui va anche ricordato, ennesimo paradosso, come proprio intorno al concetto di consenso informato sia ruotata tutta la campagna politico mediatica volta alla legalizzazione più o meno mascherata di pratiche eutanasiche, sul presupposto del diritto di ciascuno di sottrarre il proprio corpo all’accanimento terapeutico o anche ad ogni altra forma di allungamento artificioso della vita. Nel quadro nuovo della biopolitica dipanata attorno al totem vaccinale, il consenso informato dovrebbe fornire l’argine indispensabile per ogni iniziativa arbitraria di ordine politico o sedicente scientifico.

Invece nulla di tutto questo si verifica nelle società cosiddette democratiche, dove la manipolazione delle idee e del consenso, inteso come adeguamento al dettato governativo, avviene in modo più subdolo e penetrante che non nei regimi dichiaratamente autoritari. 

Si profila così anche il fenomeno della soggettivazione. Fenomeno tutto moderno per cui il potere, che veste i panni liberal democratici, non ha bisogno di usare direttamente la forza per tenere sottomessi i sudditi, ma li ingloba quale parte integrante di sé avendoli plasmati in funzione dei propri obiettivi e del proprio perpetuarsi. 

Insomma, i sudditi integrati nel potere diventano a loro volta anche il suo corpo di guardia, i pretoriani pronti a reprimere e potenzialmente a sopprimere i propri simili rimasti fuori dalle mura della caserma dove dominanti e dominati convivono idealmente e di fatto, sotto lo sguardo fisso e amorevole dalle fedeli fantesche televisive addette al servizio. Insomma Il suddito, da antagonista genetico e potenziale del potere, si fa sua parte integrante assumendo addirittura una funzione difensiva e propulsiva. 

Nel ghigno immutabile di Draghi e nelle sue uscite apparentemente incontrollate, si può forse cogliere anche la sicurezza dell’affidamento calcolato alla psicologia delle masse ammaestrate mediaticamente e a quella loro forza di inerzia che assicura ogni impunità alle segrete alchimie del potere. 

A riprova di come questo fenomeno si sia realizzato a sostegno della biopolitica nell’epoca della crisi pandemica c’è, da una parte, la gestione a dir poco demenziale di questa, dove la contraddizione, l’insensatezza e il paradosso, dominando sovrani, rivelano la pericolosità delle intenzioni. E dall’altro il fatto che tutta questa insensatezza sembra sfuggire alla comprensione generale e, anzi, assicura fede e speranza nel potere autocostituito. 

L’assurdo delle terapie all’inizio sbagliate per errore scusabile, ma poi applicate colposamente. I pazienti sequestrati nelle cosiddette strutture sanitarie e soppressi attraverso l’isolamento fisico e morale, i corpi sottratti alla pietà delle famiglie, la violenza psicologica attraverso la paura indotta e alimentata, laddove, da che mondo è mondo, in caso di pericolo la raccomandazione a mantenere la calma è misura imprescindibile. Le chiusure inutili e dannose. Infine la rinuncia ufficiale alla cura con ogni mezzo efficace, sostituita d’autorità dalla vaccinazione indiscriminata quale panacea da baraccone. Finché la commedia dell’assurdo ha raggiunto il suo culmine nel piano di inoculazione cieca di un farmaco di cui poco si sa, salvo che non ne è accertata né l’efficacia né l’innocuità. Infatti gli stessi produttori ammettono impunemente di non conoscerne né la efficacia né la innocuità, e i piazzisti governativi, nulla potendo affermare sulla innocuità futura, tentano di minimizzare quella attuale, e ammettono senza scomporsi che il vaccinato rimane contagioso, può contagiare, e non si immunizza, e dunque l’efficacia è vicina allo zero. Ma ciononostante tutti, presto anche gli animali di compagnia, devono essere sottoposti alla inoculazione del farmaco che salverà i corpi, le anime e l’economia domestica se non quella nazionale. Un farmaco che non assicura la immunizzazione e non esclude il contagio ma, grazie alle sue qualità, dovrebbe bloccare definitivamente la pandemia. Tanto che per assicurarne l’uso viene allestito in grande stile uno strumento ricattatorio e di controllo. 

Infine c’è la pantomima politica intorno ai fondi che noi abbiamo dato all’UE e che riceviamo di ritorno, sotto condizione e dietro pagamento di interessi, per superare la crisi sanitaria, ma che solo in minima parte devono essere destinati alla sanità.

Tuttavia anche di fronte a tanta illogicità e sfrontatezza, alla irresponsabile incongruenza delle misure e delle sue sanzioni, rimane una notevole diffusa indifferenza, la disattivazione di ogni facoltà critica, la sospensione del giudizio ragionato. E questa inerzia diventa la chiave di volta su cui si regge impunemente l’uso arbitrario e incontrollato del potere. Si mette cioè in luce proprio quel processo di soggettivazione analizzato da Foucault.

Insomma, dovrebbe risultare più illuminante di tante sacrosante e plausibili considerazioni di ordine sanitario, politico e geopolitico, giuridico, economico e filosofico, storico o ideologico, la contraddittorietà, la insensatezza, e la gratuità dei provvedimenti antipandemici adottati, a dimostrare che “c’è del marcio in Danimarca”. Ovvero che il potere politico usa i mezzi di cui dispone dopo averli usurpati per scopi che nulla hanno a che fare con la salvezza nazionale. Come se ne sia servito e intenda servirsene ad oltranza avendo trovato l’occasione d’oro, forse già prevista, ma forse presentata anzitempo, capace di attivare in unica soluzione i meccanismi psicologici, gli apparati normativi e i dispositivi necessari al rafforzamento e al perpetuarsi del potere. 

Tuttavia, nonostante questa perversione dei fini si presenti ogni giorno più plateale, essa resta comunque non solo poco o nulla percepita, quanto risolutamente negata in virtù dello oscuramento cognitivo indotto dalla manipolazione mediatica. In una situazione generale in cui i dati oggettivi certi mancano o vengono occultati, l’incertezza e la paura inducono ad atteggiamenti fideistici, l’abbandono cieco alla predicazione dai grandi sacerdoti e l’ossequio alla loro autorità. 

È anche vero che ad una piena comprensione dei tanti fenomeni che sono propri della contemporaneità, a cominciare da quelli di ordine finanziario, geopolitico e tecnologico e per finire in quelli che investono il senso e la concezione dell’uomo, si arriva soltanto attraverso la conoscenza e la riflessione sui dati storici elaborati criticamente, che richiedono uno sforzo di ricerca e di sistemazione concettuale. Occorre avere piena coscienza delle nuove forme assunte dal potere e delle degenerazioni della politica in un mosaico di poteri in competizione o in combutta. Occorre avere un’idea dei processi storici, delle costanti e delle varianti, del lascito spesso nefasto di idee politiche e filosofiche, anche di quelle ritenute più rispettabili, dovuto ancora una volta ad un processo degenerativo. Occorre sapere chi siano e come si muovano i signori di Davos.

Occorre intravedere i burattinai che muovono i fili della commedia, e cogliere il delirio di onnipotenza che li anima, con quale grado e tipo di cinismo possano muoversi. Un cinismo che si misura perfettamente sulla minaccia del vaccino che ora incombe sempre più da presso sui piccoli nel tempo in cui il loro abuso cerca di trovare legittimazione sociale in vista di una legittimazione giuridica ormai in agguato. 

L’assurdo che domina i nostri tempi e stravolge le nostre vite è la spia fornita a tutti delle forze degenerate dominanti, dei loro immensi poteri e di obiettivi che poco o nulla hanno a che fare col bene comune. Sia che si tratti del potere imperiale, inafferrabile dei conglomerati finanziari che mirano al dominio globale, o dei bassi e miserabili interessi di bottega partitica in cui nuotano i pesci nazionali al loro servizio. Insomma, dovrebbe essere proprio l’assurdo la chiave per leggere infallibilmente la realtà dei fatti.

Non è un caso come sia proprio la parte residuale, cioè la più lucida e accorta di quella cultura abituata a definirsi di sinistra e ad identificarsi in un pensiero cosiddetto democratico che si è scoperta capace di leggere la nuova torsione assunta dal potere, sullo sfondo di una degenerazione della politica e dell’economia da cui si è fatta guidare. Una sinistra che, al di là delle sclerotizzazioni partitiche, aveva potuto studiare a fondo il processo degenerativo innescato da un sistema economico e dalle sue direttrici di pensiero, e che sembra diventata capace di smascherare il gioco perverso di un potere nato dalle degenerazioni del sistema capitalistico. 

Da un’altra parte, una volta saltati tutti i parametri, chi d’istinto è rimasto fuori dalla caserma cerca tra lo strame di un sistema giuridico dissolto, i lacerti con cui difendere la propria piccola libertà di pensiero minacciata perché ritenuta dal potere come un lusso intollerabile.

C’è chi si difende brandendo la vecchia momentaneamente dimenticata autodeterminazione, in nome della quale è stata affermata a suo tempo perfino la liceità di uccidere la vita nascente. Eppure ora non viene consentito neppure decidere di sottrarre il proprio corpo alla manipolazione altrui e forse alla distruzione. C’è chi invoca il principio di non discriminazione grazie al quale pure si è stabilito per legge che due uomini o due donne, contro il diritto e la ragione, hanno il diritto di unirsi in matrimonio, e diventare genitori finti di esseri umani veri, inconsapevoli e cosificati per capriccio, arbitrio e volontà di potenza.

Chi alza la bandiera della libertà tout court perché sente sul collo il fiato pesante del regime poliziesco che lo stringe in un angolo sempre più angusto da dove sarà sempre più difficile la via di fuga, e in nome della quale si erano eretti i sistemi “democratici” degni di esportazione. C’è anche chi spera ancora nella restaurazione da parte del giudice del diritto violato, anche se il giudice si è ritirato fra le comparse in questo teatro dell’assurdo, insieme al proprio capocomico istituzionale. Dunque non tutti i mali vengono per nuocere, verrebbe da dire cinicamente, se ci voleva questo colpo di teatro per ridare alle parole il loro senso compiuto, anch’esso usurpato e avvelenato. Intanto vediamo sgomenti il normalizzarsi dello stato di eccezione come normalità del potere dispotico, ovvero del dispotismo al potere. 

Ogni rivoluzione ha tempi più o meno lunghi di gestazione in ragione di contingenze interne ed esterne. Quella lenta, agonica, tutta italiana che aveva messo in coma una nazione attraverso il sovvertimento incruento ma incessante dei poteri dello stato e l’erosione felpata della impalcatura istituzionale. Ma ecco che il sovvertimento, all’improvviso, nel volgere di poche stagioni è stato ormai portato a termine grazie all’inaspettato e provvidenziale evento “pandemico”.

Alla presa di potere assoluto da parte di una sorta di duumvirato, è bastato sfruttare il paravento di una legge, quella sulla “protezione civile”, nata per far fronte ad alluvioni e terremoti che notoriamente si presentano una tantum in modo puntuale e richiedono interventi mirati rapidissimi e definiti secondo proporzionalità e ragionevolezza. Dove le misure di prevenzione devono basarsi su dati tecnici verificati e verificabili, e in una visione costruttiva e ricostruttiva. Insomma in un quadro, del tutto diverso da quello pandemico, dove regna l’incertezza su tutto, compresi gli stessi dati pandemici.

Intanto i provvedimenti governativi, di dubbia legittimità, o di certa illegittimità, vengono ratificati puntualmente dal Parlamento come ognuno di noi sottoscrive in banca la risma dei fogli sulla “privacy”, nonostante la loro evidente protervia e insensatezza.

Ma gli stessi poteri e le stesse restrizioni non sono giustificati di fronte ad un evento che ha cause, dinamiche, conseguenze ancora del tutto sconosciute. Nella migliore delle ipotesi si va a tentoni, o si naviga a vista, e il comandante forse ne sa quanto i passeggeri.

A proposito delle cause, vale la pena di ricordare la pantomima iniziale sulle cause naturali che escludevano ogni incidenza umana al di là delle strane storie di connubii e trasmigrazioni ornitologiche che, come “Dagli Appennini alle Ande”, andavano da Wuhan a Codogno passando per le osterie dei colli Euganei.

Poi, quando il racconto è diventato tanto stravagante da compromettere la credibilità di ogni racconto successivo, si è ammessa senza pudore la causa artificiale. Cosa che, a quel punto avrebbe dovuto aprire senza indugio la ricerca del chi, del come e del perché. In fondo, sapere se la fuoriuscita del virus è stata colposa o dolosa, casuale o intenzionale, non è cosa da poco, priva di conseguenze pratiche. Implicherebbe in teoria anche la possibilità o meno di impedire il ripetersi del fenomeno. La possibilità o meno di individuare le responsabilità passate, presenti, la concretezza della minaccia. Minaccia non peregrina se i signori del potere continuano ad annunciare pandemie prossime venture. Terrorismo psicologico per studiare sadicamente l’effetto che fa? O conoscenza molto vicina di possibili fenomeni non proprio di interesse zoologico?

Eppure di tutto questo non si parla e non ci si preoccupa. Quasi che quella volontà umana, che ha preso ufficialmente la parte dell’incolpevole pennuto, appartenga alla sfera teologica del soprannaturale imponderabile per definizione, o al Fato che si accetta e basta senza discutere perché non c’è niente da fare. Del resto la commedia dell’assurdo può andare tranquillamente in onda senza rimostranze da parte del grosso pubblico che a teatro non fischia più, neppure Livermore, perché qui ha affidato al capocomico, al suo geniale impresario e all’assistente in compartecipazione azionaria il ruolo salvifico del mago che esorcizza gli spettri della paura tracimanti quotidianamente dagli schermi televisivi e indica con baldanzosa sicurezza al popolo la via obbligata per la redenzione fisica e morale. 

Dunque il futuro sembra nelle mani lungimiranti del banchiere Universale, della sua committenza e della sua affezionata clientela, mani benedette dal grande sacerdote. E dovremmo essere fiduciosi perché tutti costoro, come Bruto, sono uomini d’onore. Ma forse è meglio confidare che anche questa rivoluzione travestita da buongoverno possa prima o poi divorare se stessa.

venerdì 21 gennaio 2022

LA PSICHE COLLETTIVA: UNA PROFEZIA DI JUNG

Stamattina ho ricevuto la brutta notizia che un collega in giornalismo si è suicidato. E' terribile quello che sta accadendo alla nostra società da due anni a questa parte ed i crimini di cui i sedicenti governanti e giornalisti si stanno macchiando. Due anni di bombardamento ininterrotto di decreti leggi uno più stupido dell'altro (mascherine, zone gialle versi e fucsia, poste e parrucchieri off limits per i non vaccinati, carabinieri a caccia di 12enni sprovvisti di green pass per salire sui pullmann e delinquenti in libertà, gente lasciata a casa senza lavoro, controllo della spesa all'ipermercato per vedere se il non vaccinato si è procurato beni di "prima necessità") e di bombardamento mediatico. Siamo immersi in una bolla di notizie negative e di decisioni governative a gettito continuo, siamo perennemente in tensione, attaccati ad un lasciapassare che ci procura la libertà di cui disponiamo per diritto naturale al tempo stabilito dai governanti. Siamo difronte alla discriminazione, alla divisione fra le persone, al silenziamento dei dissidenti e dei pensanti. Chi è responsabile di questo scempio risponderà davanti a Dio, perché non ho fiducia alcuna che ne risponda davanti agli uomini. Una volta verrà il giudizio di Dio, come disse un grande Papa.


(L'Indipendente) È uscito il mese scorso in Francia un interessante libro di Frédéric Lenoir che espone con appassionata chiarezza l’opera di Carl Gustav Jung (Jung. Un voyage vers soi, Albin Michel editore). Folgorante questo attualissimo passaggio dello psicanalista svizzero, 1944, giustamente ripreso da Lenoir: “Sono convinto che lo studio scientifico dell’anima sia la scienza dell’avvenire… Appare in effetti, con una chiarezza sempre più accecante che non sono né le carestie, né i terremoti, né i microbi, né il cancro ma che è proprio l’uomo a costituire per l’uomo il più grande pericolo. Il motivo è semplice: non esiste ancora alcuna protezione efficace contro le malattie psichiche: ora, queste epidemie sono infinitamente più devastatrici delle peggiori catastrofi! Il supremo pericolo che minaccia tanto l’essere individuale quanto i popoli nel loro insieme è infatti il pericolo psichico”.

L’inconscio collettivo che, secondo Jung, noi avremmo ereditato da tempi ancestrali, con i suoi miti, le sue interdizioni e le sue potenti pulsioni, se viene sollecitato per esercitare potere, per influenzare i comportamenti mediante le emozioni, impedisce a ciascuno di armonizzare il retaggio del passato, il proprio patrimonio di sensazioni materiali e spirituali, con l’ esperienza del vissuto.

Una accelerazione, una forzatura che produce choc emotivi, provocando sovrapposizioni di razionale e irrazionale, sconfinamenti tra salute individuale e benessere sociale. Il disagio che ne deriva gioca nell’interesse di chi vuole dominare senza farlo risultare troppo.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

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