Questo brano è tratto da un'intervista a Giorgio Israel, docente di Storia delle matematiche all’Università La Sapienza di Roma e autore insieme a Pietro Nastasi di Scienza e razza nell’Italia fascista. Dei 12 docenti universitari che non giurarono fedeltà al Fascismo si è persa anche la memoria. Molti accademici furono collaborazionisti del regime ed a loro sono oggi intitolate aule universitarie. Nessuno tra questi ultimi perse le proprie posizioni. Anzi, piazzarono anche alcuni loro allievi, i quali, per ringraziamento, dedicarono loro aule, edifici, biblioteche. I fascisti firmatari del Manifesto della razza fecero splendide carriere accademiche, anche gente che scientificamente valeva zero, ma aveva solo un peso decisivo in politica.
"In Italia le leggi razziali non furono uno scherzetto fatto per omaggiare Hitler, ma un imponente complesso legislativo e burocratico che investiva ogni aspetto della vita degli ebrei, dei diversi degli inferiori, isolandoli dal resto della popolazione. In Italia non si propugnava il loro sterminio, bensì l’isolamento e l'espulsione pratica da ogni aspetto della vita civile, e sociale che avrebbe dovuto indurre gli ebrei, e tutti coloro considerati inferiori ad essere isolati, rendendogli la vita impossibile, anche per la difficoltà di lavorare, se non fra loro fino a farli emigrare.
Naturalmente, i soliti giustificazionisti ne hanno tratto spunto per dire che il fascismo “discriminò ma non perseguitò” gli ebrei e i diversi.
Come se essere espulsi dalle scuole, dalle università, dagli uffici pubblici, non poter frequentare certi luoghi ed essere privati del lavoro, e così via, non fosse una persecuzione…”.
[....]
"Sarebbe sbagliato credere che, essendo trascorso mezzo secolo, la ferita si sia del tutto richiusa. Le tracce sono ancora evidenti. Ad esempio, occorre chiedersi perché tante aule universitarie, istituti e dipartimenti portino il nome di scienziati che erano degli esponenti del regime, spesso tra i più fanatici e talvolta anche fautori della politica razziale o addirittura membri del Consiglio Superiore per la Demografia e la Razza. E ho trovato sorprendenti certe reazioni isteriche da parte di alcuni docenti universitari di fronte alla documentazione che prova la compromissione di alcuni “luminari” nella politica razziale, contenuta nel libro da me scritto in collaborazione con Pietro Nastasi. In verità, la risposta è amaramente semplice. E’ così perché la politica razziale ha cambiato il corso della storia dell’università italiana. Ai docenti ebrei scacciati ne sono succeduti altri che non hanno perso la loro posizione dopo la guerra. Al contrario, hanno approfittato delle posizioni lucrate, hanno piazzato i loro allievi e i docenti ebrei reintegrati si sono trovati entro una geografia ormai mutata. Non vi è mai stata alcuna epurazione dei docenti più compromessi. I loro allievi, riconoscenti per la progressione di carriera ottenuta, si sono fatti zelanti difensori della loro memoria, l’hanno esaltata dedicandole aule, edifici, istituti e biblioteche e, in taluni casi, ancor oggi reagiscono con irritazione di fronte ad ogni tentativo di metterla in discussione.
Vorrei, al riguardo, raccontare un aneddoto personale. Mio padre era docente universitario, primo aiuto e principale collaboratore del celebre biologo Giulio Fano. Questi morì pochi anni prima delle leggi razziali e la sua cattedra venne occupata da Sabato Visco, un personaggio privo di valore scientifico, ma di notevole peso politico nel regime, il quale fu poi uno dei firmatari del Manifesto degli Scienziati Razzisti e fu addirittura Capo dell’Ufficio Razza del Ministero della Cultura Popolare. Fu pertanto uno dei principali attori della politica razziale, in particolare nel mondo accademico. Mio padre raccontava delle tirate antisemite che questi gli faceva, seduto alla sua scrivania, roteando un mazzo di chiavi mentre discettava sui difetti e le colpe della “razza ebraica”. Tralascio di parlare delle vicende di mio padre nei suoi rapporti con questo personaggio. Dico soltanto che quando mi iscrissi all’Università scoprii con raccapriccio che il mio libretto universitario era firmato da Sabato Visco, Preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Roma, e che scoprii essere ancora un rispettato personaggio, pieno di cariche e di potere, mentre in casa mia era ricordato come l’emblema dell’efferatezza. Ne parlai con un noto accademico di sinistra della Facoltà (diciamo pure, uno dei “pilastri” della sinistra antifascista dell’Università), esprimendogli il mio stupore. Ne ricevetti la seguente risposta: “E’ vero. Ma è tanto bravo a procurare soldi”. Non credo che siano necessari altri commenti, se non che mi tornano in mente le frasi scritte dal noto fisico Franco Rasetti, di recente scomparso, al suo collega Enrico Persico, subito dopo la fine della guerra (e nelle quali l’allusione a personaggi come Visco è trasparente): “Qui come sai abbiamo fatto la repubblica, alla quale io ho dato il mio voto, ma senza farmi troppe illusioni. Il suo primo atto è stata una pazzesca amnistia che rimette in circolazione ladri, spie fasciste, rastrellatori e torturatori, eccetto quelli le cui torture erano “particolarmente efferate” (sic). Viene proprio il rimpianto di non aver fatto, a suo tempo, il torturatore moderatamente efferato. L’epurazione, come forse saprai, si è risolta in una burletta, e fascistoni e firmatari del manifesto della razza rientrano trionfalmente nelle Università. Ma basta ora con questi disgustosi argomenti”.
Nessun commento:
Posta un commento