domenica 23 gennaio 2022

L’IMPOSSESSAMENTO DEI CORPI E IL CONSENSO NON INFORMATO


(Patrizia Fermani) - Già anni fa Piero Buscaroli, di fronte a una repubblica parlamentare in via di dissoluzione, con un popolo addomesticato e spogliato delle sue leggi, nel suo ultimo libro chiamava l’Italia “Una nazione in coma”.

Vi era raccontato per brevi pennellate il disfacimento di una entità morale e culturale, culminato simbolicamente nella indecorosa svendita territoriale fatta ad Osimo dai politicanti di allora. Svendita che, due decenni dopo, diventerà la dismissione del patrimonio economico italiano promosso da Draghi sul Britannia. Ma già allora l’autore annotava: «A confronto dei nostri ministri e parlamentari, gli sfruttatori di prostitute ci fanno la figura dei cavalieri antichi. Difendono il tratto di marciapiede soggetto alla loro sovranità».

Oggi l’ottusità, l’arroganza o il cinismo del potere, facendo leva sul fatto pandemico, sembrano portare a compimento quella distruzione finale economica, fisica, giuridica, politica e culturale dell’Italia che toglie anche al popolo la dignità di popolo. 

D’altra parte, l’intreccio tra fenomeno sanitario e strategie di potere è l’ultimo contrassegno di quasi tutto l’occidente. Dove l’occidente non è un dato geografico, ma una ideologia politica con pretese globalizzanti. Un programma e un sistema di governo.

In questo quadro è tornata attualissima, in particolare, quella interpretazione della realtà politica, “occidentale” appunto, elaborata una quarantina d’anni fa da Michel Foucault, imperniata sul concetto di biopolitica e su quello in certo senso complementare di soggettivazione. Concetti che appaiono calzare a pennello alla gestione politica della cosiddetta “crisi pandemica”. 

Foucault, dopo una prima imbarazzata damnatio memoriae per una vita ed una morte ritenute ancora disdicevoli anche alla sinistra di allora, tornò ad essere per essa un punto di riferimento, data l’utilità di quelle idee per la esposizione permanente delle nefandezze naziste che, in mancanza d’altro, servono sempre a misurare i pregi della contemporaneità democratica. Una sorta di Pasolini che, per ironia della sorte, viene invece brandito oggi proprio da una sinistra critica minoritaria contro quella di regime che ha rinnegato se stessa nell’abbraccio mortale con il capitalismo di rapina e si è insediata in tutti i gangli vitali del potere ad ogni livello, mosca cocchiera di ogni degenerazione politica e culturale. 

Biopolitica, come è noto, sta a significare l’impossessamento della vita biologica da parte della politica, che non ha a cuore le esistenze umane in vista del bene comune, come vorrebbe idealmente la sua funzione, ma costruisce modelli di vita biologica funzionali alla logica del potere e a certe allucinate visioni di un mondo globale programmato. In questo quadro anche la parola “politica” appare ormai fuori posto perché in realtà il mero potere si è già sostituito alla politica, abolisce di fatto le istituzioni che diventano soltanto un paravento, una scenografia di comodo. Agisce non solo al di là e al di sopra della polis, ma contro la polis.

La biopolitica è stata ideata e messa in pratica dal nazismo, ma le iniziative postmoderne di manipolazione teorica e pratica dei processi vitali ripercorrono la stessa strada dalla eugenetica, al gender e transgender, alle programmazioni eutanasiche ecc. e ora essa si presenta prepotente nella furia maniacale con cui viene imposta la somministrazione di un farmaco di cui non è assicurata né l’efficacia né l’innocuità.

Contro quell’impossessamento dei corpi praticato dai medici nazisti per motivi che non erano quelli della salute dei pazienti, fu esteso il cosiddetto codice di Norimberga e il “consenso informato” quale difesa dell’individuo di fronte a certe pericolose estensioni del potere politico.

Ora anche se il soggetto interessato non può avvalersi normalmente di informazioni per lui del tutto comprensibili, il suo consenso serve quanto meno per stabilire una sorta di controllo preventivo, e attivare la sua attenzione su quanto lo coinvolge più da vicino. 

Qui va anche ricordato, ennesimo paradosso, come proprio intorno al concetto di consenso informato sia ruotata tutta la campagna politico mediatica volta alla legalizzazione più o meno mascherata di pratiche eutanasiche, sul presupposto del diritto di ciascuno di sottrarre il proprio corpo all’accanimento terapeutico o anche ad ogni altra forma di allungamento artificioso della vita. Nel quadro nuovo della biopolitica dipanata attorno al totem vaccinale, il consenso informato dovrebbe fornire l’argine indispensabile per ogni iniziativa arbitraria di ordine politico o sedicente scientifico.

Invece nulla di tutto questo si verifica nelle società cosiddette democratiche, dove la manipolazione delle idee e del consenso, inteso come adeguamento al dettato governativo, avviene in modo più subdolo e penetrante che non nei regimi dichiaratamente autoritari. 

Si profila così anche il fenomeno della soggettivazione. Fenomeno tutto moderno per cui il potere, che veste i panni liberal democratici, non ha bisogno di usare direttamente la forza per tenere sottomessi i sudditi, ma li ingloba quale parte integrante di sé avendoli plasmati in funzione dei propri obiettivi e del proprio perpetuarsi. 

Insomma, i sudditi integrati nel potere diventano a loro volta anche il suo corpo di guardia, i pretoriani pronti a reprimere e potenzialmente a sopprimere i propri simili rimasti fuori dalle mura della caserma dove dominanti e dominati convivono idealmente e di fatto, sotto lo sguardo fisso e amorevole dalle fedeli fantesche televisive addette al servizio. Insomma Il suddito, da antagonista genetico e potenziale del potere, si fa sua parte integrante assumendo addirittura una funzione difensiva e propulsiva. 

Nel ghigno immutabile di Draghi e nelle sue uscite apparentemente incontrollate, si può forse cogliere anche la sicurezza dell’affidamento calcolato alla psicologia delle masse ammaestrate mediaticamente e a quella loro forza di inerzia che assicura ogni impunità alle segrete alchimie del potere. 

A riprova di come questo fenomeno si sia realizzato a sostegno della biopolitica nell’epoca della crisi pandemica c’è, da una parte, la gestione a dir poco demenziale di questa, dove la contraddizione, l’insensatezza e il paradosso, dominando sovrani, rivelano la pericolosità delle intenzioni. E dall’altro il fatto che tutta questa insensatezza sembra sfuggire alla comprensione generale e, anzi, assicura fede e speranza nel potere autocostituito. 

L’assurdo delle terapie all’inizio sbagliate per errore scusabile, ma poi applicate colposamente. I pazienti sequestrati nelle cosiddette strutture sanitarie e soppressi attraverso l’isolamento fisico e morale, i corpi sottratti alla pietà delle famiglie, la violenza psicologica attraverso la paura indotta e alimentata, laddove, da che mondo è mondo, in caso di pericolo la raccomandazione a mantenere la calma è misura imprescindibile. Le chiusure inutili e dannose. Infine la rinuncia ufficiale alla cura con ogni mezzo efficace, sostituita d’autorità dalla vaccinazione indiscriminata quale panacea da baraccone. Finché la commedia dell’assurdo ha raggiunto il suo culmine nel piano di inoculazione cieca di un farmaco di cui poco si sa, salvo che non ne è accertata né l’efficacia né l’innocuità. Infatti gli stessi produttori ammettono impunemente di non conoscerne né la efficacia né la innocuità, e i piazzisti governativi, nulla potendo affermare sulla innocuità futura, tentano di minimizzare quella attuale, e ammettono senza scomporsi che il vaccinato rimane contagioso, può contagiare, e non si immunizza, e dunque l’efficacia è vicina allo zero. Ma ciononostante tutti, presto anche gli animali di compagnia, devono essere sottoposti alla inoculazione del farmaco che salverà i corpi, le anime e l’economia domestica se non quella nazionale. Un farmaco che non assicura la immunizzazione e non esclude il contagio ma, grazie alle sue qualità, dovrebbe bloccare definitivamente la pandemia. Tanto che per assicurarne l’uso viene allestito in grande stile uno strumento ricattatorio e di controllo. 

Infine c’è la pantomima politica intorno ai fondi che noi abbiamo dato all’UE e che riceviamo di ritorno, sotto condizione e dietro pagamento di interessi, per superare la crisi sanitaria, ma che solo in minima parte devono essere destinati alla sanità.

Tuttavia anche di fronte a tanta illogicità e sfrontatezza, alla irresponsabile incongruenza delle misure e delle sue sanzioni, rimane una notevole diffusa indifferenza, la disattivazione di ogni facoltà critica, la sospensione del giudizio ragionato. E questa inerzia diventa la chiave di volta su cui si regge impunemente l’uso arbitrario e incontrollato del potere. Si mette cioè in luce proprio quel processo di soggettivazione analizzato da Foucault.

Insomma, dovrebbe risultare più illuminante di tante sacrosante e plausibili considerazioni di ordine sanitario, politico e geopolitico, giuridico, economico e filosofico, storico o ideologico, la contraddittorietà, la insensatezza, e la gratuità dei provvedimenti antipandemici adottati, a dimostrare che “c’è del marcio in Danimarca”. Ovvero che il potere politico usa i mezzi di cui dispone dopo averli usurpati per scopi che nulla hanno a che fare con la salvezza nazionale. Come se ne sia servito e intenda servirsene ad oltranza avendo trovato l’occasione d’oro, forse già prevista, ma forse presentata anzitempo, capace di attivare in unica soluzione i meccanismi psicologici, gli apparati normativi e i dispositivi necessari al rafforzamento e al perpetuarsi del potere. 

Tuttavia, nonostante questa perversione dei fini si presenti ogni giorno più plateale, essa resta comunque non solo poco o nulla percepita, quanto risolutamente negata in virtù dello oscuramento cognitivo indotto dalla manipolazione mediatica. In una situazione generale in cui i dati oggettivi certi mancano o vengono occultati, l’incertezza e la paura inducono ad atteggiamenti fideistici, l’abbandono cieco alla predicazione dai grandi sacerdoti e l’ossequio alla loro autorità. 

È anche vero che ad una piena comprensione dei tanti fenomeni che sono propri della contemporaneità, a cominciare da quelli di ordine finanziario, geopolitico e tecnologico e per finire in quelli che investono il senso e la concezione dell’uomo, si arriva soltanto attraverso la conoscenza e la riflessione sui dati storici elaborati criticamente, che richiedono uno sforzo di ricerca e di sistemazione concettuale. Occorre avere piena coscienza delle nuove forme assunte dal potere e delle degenerazioni della politica in un mosaico di poteri in competizione o in combutta. Occorre avere un’idea dei processi storici, delle costanti e delle varianti, del lascito spesso nefasto di idee politiche e filosofiche, anche di quelle ritenute più rispettabili, dovuto ancora una volta ad un processo degenerativo. Occorre sapere chi siano e come si muovano i signori di Davos.

Occorre intravedere i burattinai che muovono i fili della commedia, e cogliere il delirio di onnipotenza che li anima, con quale grado e tipo di cinismo possano muoversi. Un cinismo che si misura perfettamente sulla minaccia del vaccino che ora incombe sempre più da presso sui piccoli nel tempo in cui il loro abuso cerca di trovare legittimazione sociale in vista di una legittimazione giuridica ormai in agguato. 

L’assurdo che domina i nostri tempi e stravolge le nostre vite è la spia fornita a tutti delle forze degenerate dominanti, dei loro immensi poteri e di obiettivi che poco o nulla hanno a che fare col bene comune. Sia che si tratti del potere imperiale, inafferrabile dei conglomerati finanziari che mirano al dominio globale, o dei bassi e miserabili interessi di bottega partitica in cui nuotano i pesci nazionali al loro servizio. Insomma, dovrebbe essere proprio l’assurdo la chiave per leggere infallibilmente la realtà dei fatti.

Non è un caso come sia proprio la parte residuale, cioè la più lucida e accorta di quella cultura abituata a definirsi di sinistra e ad identificarsi in un pensiero cosiddetto democratico che si è scoperta capace di leggere la nuova torsione assunta dal potere, sullo sfondo di una degenerazione della politica e dell’economia da cui si è fatta guidare. Una sinistra che, al di là delle sclerotizzazioni partitiche, aveva potuto studiare a fondo il processo degenerativo innescato da un sistema economico e dalle sue direttrici di pensiero, e che sembra diventata capace di smascherare il gioco perverso di un potere nato dalle degenerazioni del sistema capitalistico. 

Da un’altra parte, una volta saltati tutti i parametri, chi d’istinto è rimasto fuori dalla caserma cerca tra lo strame di un sistema giuridico dissolto, i lacerti con cui difendere la propria piccola libertà di pensiero minacciata perché ritenuta dal potere come un lusso intollerabile.

C’è chi si difende brandendo la vecchia momentaneamente dimenticata autodeterminazione, in nome della quale è stata affermata a suo tempo perfino la liceità di uccidere la vita nascente. Eppure ora non viene consentito neppure decidere di sottrarre il proprio corpo alla manipolazione altrui e forse alla distruzione. C’è chi invoca il principio di non discriminazione grazie al quale pure si è stabilito per legge che due uomini o due donne, contro il diritto e la ragione, hanno il diritto di unirsi in matrimonio, e diventare genitori finti di esseri umani veri, inconsapevoli e cosificati per capriccio, arbitrio e volontà di potenza.

Chi alza la bandiera della libertà tout court perché sente sul collo il fiato pesante del regime poliziesco che lo stringe in un angolo sempre più angusto da dove sarà sempre più difficile la via di fuga, e in nome della quale si erano eretti i sistemi “democratici” degni di esportazione. C’è anche chi spera ancora nella restaurazione da parte del giudice del diritto violato, anche se il giudice si è ritirato fra le comparse in questo teatro dell’assurdo, insieme al proprio capocomico istituzionale. Dunque non tutti i mali vengono per nuocere, verrebbe da dire cinicamente, se ci voleva questo colpo di teatro per ridare alle parole il loro senso compiuto, anch’esso usurpato e avvelenato. Intanto vediamo sgomenti il normalizzarsi dello stato di eccezione come normalità del potere dispotico, ovvero del dispotismo al potere. 

Ogni rivoluzione ha tempi più o meno lunghi di gestazione in ragione di contingenze interne ed esterne. Quella lenta, agonica, tutta italiana che aveva messo in coma una nazione attraverso il sovvertimento incruento ma incessante dei poteri dello stato e l’erosione felpata della impalcatura istituzionale. Ma ecco che il sovvertimento, all’improvviso, nel volgere di poche stagioni è stato ormai portato a termine grazie all’inaspettato e provvidenziale evento “pandemico”.

Alla presa di potere assoluto da parte di una sorta di duumvirato, è bastato sfruttare il paravento di una legge, quella sulla “protezione civile”, nata per far fronte ad alluvioni e terremoti che notoriamente si presentano una tantum in modo puntuale e richiedono interventi mirati rapidissimi e definiti secondo proporzionalità e ragionevolezza. Dove le misure di prevenzione devono basarsi su dati tecnici verificati e verificabili, e in una visione costruttiva e ricostruttiva. Insomma in un quadro, del tutto diverso da quello pandemico, dove regna l’incertezza su tutto, compresi gli stessi dati pandemici.

Intanto i provvedimenti governativi, di dubbia legittimità, o di certa illegittimità, vengono ratificati puntualmente dal Parlamento come ognuno di noi sottoscrive in banca la risma dei fogli sulla “privacy”, nonostante la loro evidente protervia e insensatezza.

Ma gli stessi poteri e le stesse restrizioni non sono giustificati di fronte ad un evento che ha cause, dinamiche, conseguenze ancora del tutto sconosciute. Nella migliore delle ipotesi si va a tentoni, o si naviga a vista, e il comandante forse ne sa quanto i passeggeri.

A proposito delle cause, vale la pena di ricordare la pantomima iniziale sulle cause naturali che escludevano ogni incidenza umana al di là delle strane storie di connubii e trasmigrazioni ornitologiche che, come “Dagli Appennini alle Ande”, andavano da Wuhan a Codogno passando per le osterie dei colli Euganei.

Poi, quando il racconto è diventato tanto stravagante da compromettere la credibilità di ogni racconto successivo, si è ammessa senza pudore la causa artificiale. Cosa che, a quel punto avrebbe dovuto aprire senza indugio la ricerca del chi, del come e del perché. In fondo, sapere se la fuoriuscita del virus è stata colposa o dolosa, casuale o intenzionale, non è cosa da poco, priva di conseguenze pratiche. Implicherebbe in teoria anche la possibilità o meno di impedire il ripetersi del fenomeno. La possibilità o meno di individuare le responsabilità passate, presenti, la concretezza della minaccia. Minaccia non peregrina se i signori del potere continuano ad annunciare pandemie prossime venture. Terrorismo psicologico per studiare sadicamente l’effetto che fa? O conoscenza molto vicina di possibili fenomeni non proprio di interesse zoologico?

Eppure di tutto questo non si parla e non ci si preoccupa. Quasi che quella volontà umana, che ha preso ufficialmente la parte dell’incolpevole pennuto, appartenga alla sfera teologica del soprannaturale imponderabile per definizione, o al Fato che si accetta e basta senza discutere perché non c’è niente da fare. Del resto la commedia dell’assurdo può andare tranquillamente in onda senza rimostranze da parte del grosso pubblico che a teatro non fischia più, neppure Livermore, perché qui ha affidato al capocomico, al suo geniale impresario e all’assistente in compartecipazione azionaria il ruolo salvifico del mago che esorcizza gli spettri della paura tracimanti quotidianamente dagli schermi televisivi e indica con baldanzosa sicurezza al popolo la via obbligata per la redenzione fisica e morale. 

Dunque il futuro sembra nelle mani lungimiranti del banchiere Universale, della sua committenza e della sua affezionata clientela, mani benedette dal grande sacerdote. E dovremmo essere fiduciosi perché tutti costoro, come Bruto, sono uomini d’onore. Ma forse è meglio confidare che anche questa rivoluzione travestita da buongoverno possa prima o poi divorare se stessa.

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