martedì 9 gennaio 2024

KIKI DE MONTPARNASSE


(La Storia dell'Arte, tra Miti e Leggende) - Quel giorno di primavera Man Ray entrò nel caffè La Rotonde di Montparnasse, ritrovo di artisti e scapestrati (che spesso coincidevano) e assistette ad una scena che lo divertì molto: c’era una ragazza chiassosa e ridanciana che se ne stava seduta scomposta con i piedi sul tavolo, la gonna scivolata sulle gambe scoperte fino all’inguine, e litigava a distanza con il barista dietro al bancone, il quale, aria corrucciata e annoiata, non si degnava neppure di risponderle.

«Allora, Guillaume, perché non vuoi servirci? Abbiamo chiesto del vino. Portaci del vino, dunque!» gli si rivolgeva lei a gran voce.
Si avvicinò un imbarazzato cameriere: «Non vuole che vi serva perché voi due da quando siete entrate state dando spettacolo con le vostre risa sguaiate e il vostro comportamento volgare. Dovete andarvene» intimò a bassa voce. «E tu, metti giù quelle gambe dal tavolo. E ricomponiti, per l’amor di Dio, altrimenti il padrone caccia anche me.»
«Noi non ce ne andiamo, vero Thérèse?» ammiccò all’amica «fino a che non ci porti da bere. Siamo due signore, noi!» ribadì con aria comicamente sussiegosa «e non puoi trattarci così!»
«Seee, due signore!» esclamò il cameriere «ma fatela finita e andate a procacciarvi clienti altrove»; le prese per il braccio e le mise alla porta, mentre le due scalciavano e gridavano.
Man Ray uscì allora anche lui dal locale; sul marciapiedi si avvicinò a loro, e alla più scalmanata chiese: «Come ti chiami?»

E lei, prontamente: «E a te che t’importa?»
«Sono un fotografo e vorrei tu mi facessi da modella.»
Lei lo squadrò da capo a piedi e, poi, sguainando un sorriso scarlatto e adescante: «Sono Kiki, la regina di Montparnasse»
Lui non si chiamava in realtà Man Ray (uomo-raggio), ma Emmanuel Radnitzky, e lei all’anagrafe non era Kiki ma Alice Ernestine Prin e in quella primavera del 1921 aveva quasi vent’anni.
Era nata a Châtillon-sur-Seine il 2 ottobre 1901, in Borgogna, da padre sconosciuto e madre che ha mollato lei e gli altri 5 figli (avuti da uomini diversi) alla propria madre in campagna; a scuola Alice ci è andata saltuariamente malvolentieri e a 12 anni già lavorava: prima in una maglieria e poi da un panettiere, ma stufa di svegliarsi all’alba, dopo due anni scappa dalla casa di campagna della nonna e approda nella capitale.
È bella e monella, con quel musetto impertinente e il corpo sinuoso come un’onda. E inoltre è disinibita, allegra e soprattutto è stufa di mangiare pane e cipolle rosse; spudorata e provocante com’è non le è difficile trovare il modo di racimolare pasti decenti, letti accoglienti e alcove dove divertirsi.
Quando la madre, avvertita da una lettera anonima, piomba in casa di un vecchio scultore e la sorprende mentre posa nuda, la prende a schiaffi e la ripudia, lei, che l’aveva abbandonata quando aveva appena 5 anni.
Alice non si dispera: ha un carattere indomabile e un erotismo sbrigliato. È amorale e immorale: nel suo “Diario” raccontò di aver perduto la verginità in cambio di una cioccolata calda.

A 15 anni capisce che quel caschetto bruno “alla garçonne”, quegli zigomi da gitana e quell’andatura molle e ancheggiante stordiscono gli uomini e la rendono irresistibile.
E allora si trucca le labbra con un rossetto sfrontato e le palpebre con il nerofumo dei fiammiferi usati, s’imbottisce il seno con degli stracci, e cambia il nome in quel Kiki de Montparnasse, così frivolo e ribaldo, con cui come brezza stuzzicante, passa in quegli anni ruggenti anni divenendone un’icona assoluta, la modella più desiderata dagli Artisti dell’epoca.
E che Artisti! Lei, ironica, scaltra e ingenua allo stesso tempo, desiderabile e ignorante come poche, scriverà nella sua autobiografia, intitolata “Memorie di una modella”, che usciva ogni sera: «con dei tipi che si chiamano Dadaisti e altri che si fanno chiamare Surrealisti, ma io non riesco a vedere questa gran differenza tra loro!».
Quei Dadaisti e Surrealisti con cui andava a braccetto e a letto avevano i nomi di Tristan Tzara, Breton, Paul Éluard, Aragon, Max Ernst, Man Ray, Jean Cocteau, Chaïm Soutine (che nella sua misera e gelida stanza pur di riscaldarla arrivò a bruciare i suoi quadri), e ultimo, ma non ultimo, Hemingway, che lei definì «maiale e pitocco» e che invece era così pazzo di lei da firmare persino la prefazione dei suoi “Souvenirs”.
Fu sempre l’autore di “Fiesta” a dire di lei: «Kiki è un monumento: dominò l’epoca di Montparnasse [anni Venti e Trenta] più di quanto la Regina Vittoria non abbia dominato l’epoca vittoriana», e a proposito delle sue memorie: «Eccovi un libro scritto da una donna che non fu mai una signora».
Hemingway era stato fin troppo galante a definirla una “non signora”; non così il pittore Moïse Kisling che senza mezzi termini la chiamava «bagascia e puttana sifilitica».
Kiki se la rideva e del giudizio altrui se ne infischiava e continuava a vivere come più le piaceva: eccessi di ogni tipo e notti sguaiate, vino e cocaina come se non ci fosse un domani e nudità invereconde esibite in foto d’artista, risse con prostitute e soggiorni in galera, ricoveri in cliniche (per problemi cardiaci) e amori fugaci.
La relazione più importante e burrascosa della sua rocambolesca esistenza la visse con Man Ray, geniale pittore, fotografo e autore di film d’avanguardia, uno dei massimi interpreti del Dadaismo di cui divenne eroticissima Musa.
Quando si erano incontrati al caffè “La Rotonde”, uno dei più famosi degli anni Venti a Parigi, quel giorno lui era rimasto folgorato. Le aveva chiesto di fotografarla, e lei lo seguito, ma invece di scattarle delle foto se l’era divorata di baci.
Si rifarà ritraendola in centinaia di scatti in cui la spudorata carnalità di Kiki appare in tutta la sua abbagliante giovinezza.
E poi la più famosa, quella che più che una foto è un vero manifesto dell’epoca e della femminilità: “Le violon d’Ingres” in cui lei appare nuda di spalle, vestita solo di un turbante, di due orecchini e delle due fessure a forma di F presenti sulla cassa armonica del violino disegnate sulla schiena.
Luminosa è la pelle, sinuose le curve, come modellate da un pollice sapiente, e quel gioco mirabile di luci ed ombre illanguidiva il suo corpo a forma di violoncello: il geniale Man Ray e la indecente Kiki avevano dato vita alla foto più venduta al mondo.

Relazione burrascosa la loro: quando lei andava al “Jockey” a ballare il can can senza biancheria intima scatenando il delirio fra gli spettatori, lui, schiumante di rabbia saliva sul palco e la trascinava via tra urli e spintoni dei clienti.
E tra loro erano schiaffi e oggetti scagliati addosso e poi notti voraci e sbrigliate.
Ma gli anni Venti volarono via e poi anche i Trenta.
La passione tra loro si dissolse e per lei inizia un tristissimo declino.
Le droghe, l’alcolismo all’ultimo stadio, gli eccessi e i disordini alimentari l’avevano fatta ingrassare smisuratamente.
Le fattezze perfette del suo corpo erano solo un ricordo, così come le follie di quegli anni ruggenti e irripetibili, ma non aveva perso la sua ironia.
«I primi cent’anni della vita sono sempre i più duri», aveva scritto. Non li raggiungerà.
Kiki, la regina di Montparnasse, morirà ad appena 52 anni in una luminosa giornata di primavera del 1953. Sulle labbra, spudoratamente rosse, un ultimo irriverente sorriso.
Daniela Musini
Estratto dalla biografia più dettagliata e completa che le ho dedicato nel mio ultimo libro LE INCANTATRICI. 33 donne che hanno sedotto il mondo (Piemme)

Nessun commento:

Lettori fissi