Ogni cosa in natura esiste finché ha un senso e soddisfa un
bisogno. In caso contrario scompare. Che senso hanno oggi i partiti? Che
bisogno soddisfano? Ho letto dotte analisi dell’astensionismo alle
elezioni regionali nella rossa Emilia. Alcune faziose, come quella che
attribuisce all’ultimo arrivato Renzi la responsabilità di un fenomeno
in corso da decenni, ma altre ineccepibili: la crisi economica, gli
scandali, il disprezzo per la classe politica e l’istituzione regionale,
l’assenza di un avversario in grado di mobilitare gli elettori sotto la
spinta della paura. Però mi sembrano tutte cause di secondo livello. La
ragione primaria, e più prosaica, della decadenza dei partiti (e dei
sindacati) è che hanno rinunciato a svolgere il loro mestiere di
assistenza dei cittadini.
Nel quartiere di Torino dove sono cresciuto abitavano due vecchiette.
Una votava Pci e l’altra Dc. Se aveste chiesto loro perché, non credo
che avrebbero saputo darvi una risposta «politica». La prima bazzicava
la sezione del Pci per farsi compilare gratuitamente la dichiarazione
dei redditi e ricevere utili dritte su medici curanti e impiegati
comunali a cui rivolgersi per dilazionare il pagamento di una bolletta.
La seconda frequentava gli oratori e cuciva berrette di lana per i
poveri che venivano vendute nelle sagre paesane della Dc. Quei partiti
di massa, di cui ignoravano le basi ideologiche, facevano parte della
loro vita. Podemos, il movimento che promette o minaccia di vincere le
prossime elezioni spagnole, è ripartito da lì: dalle berrette e dalle
bollette. Che non bastano a fare un partito. Ma senza le quali qualsiasi
partito cessa di esistere.