martedì 19 settembre 2023

MUSSOLINI, IL FASCISMO, I PARTIGIANI NELLE RIFLESSIONI DEL FILOSOFO PIERO DI VONA

Piero Di Vona (nella foto), ontologo (Buccino, 6 giugno 1928 - Salerno, 5 gennaio 2018)ha insegnato Storia della filosofia nelle università di Pavia, Palermo, Salerno e Napoli “Federico II”. E' figlio dell'antifascista italiano Quintino Di Vona, che pagò con la vita la sua opposizione al regime.


Debbo dire che gli antifascisti a me non sono mai parsi eccelsi. Essi non ebbero nessuna parte nella caduta del fascismo, il re e Badoglio, tutti e due legatissimi al fascismo, che ne provocarono la caduta con la loro azione, non si sa bene per quale scopo, quando furono messi di fronte alla sconfitta militare. Non si sa bene se lo fecero pensando di sacrificare Mussolini per conservare il regime autoritario, o se volessero sinceramente ritornare alla vecchia costituzione, come è meno probabile. Le divisioni ideologiche degli antifascisti, ed i loro contrasti personali, resero inefficace la loro azione. Del resto, nemmeno gli angloamericani ebbero mai ebbero mai una grande considerazione per i fuoriusciti, perché non tentarono mai di costituire un governo italiano antifascista da contrapporre a quello di Mussolini. Io non pensavo nemmeno che questi fosse meritevole di una opposizione. Come in filosofia non tutti e non sempre sono degni di confutazione, così in politica non tutti e non sempre sono degni di una opposizione, e almeno per me certo Mussolini non lo era. Ora che sono anziano penso con Sant’Agostino che occorresse che il tiranno si distruggesse da solo, come in effetti avvenne. Mussolini piacque agli Italiani perché portava agli eccessi i loro difetti. Ma non fu affatto quel grande statista che gli Italiani credono ancora che fosse stato, perché non hanno ancora misurato lo spaventoso abisso in cui per sua colpa sono caduti, e neppure compreso che l’invasione dell’Italia dal Nord al Sud per colpa della politica di Mussolini non fu altro che una delle invasioni straniere succedutesi nei lunghi secoli seguiti alla caduta dell’impero romano. Questa fu la vera colpa di Mussolini, veramente imperdonabile assai più dell’aver instaurato un regime dittatoriale, perché l’unità d’Italia fu voluta per impedire invasioni straniere e garantire alla nazione la libertà dagli stranieri. Nessuno prima di Mussolini era stato capo del governo per vent’anni nello Stato italiano. Eppure con una simile eccezionale esperienza, egli ragionò come il popolino: la Germania aveva già vinto, e l’Inghilterra o si sarebbe arresa, o sarebbe venuta a patti. Chi più di lui, che soffriva di stomaco, poteva capire che dopo un lauto pasto bisogna concedere al corpo un lungo riposo? Eppure egli seppe conquistare, ma non conservare l’Etiopia. Soprattutto non capì che solo conservando la neutralità l’Italia avrebbe vinto la guerra che altre nazioni combattevano. Mussolini fu ucciso dai partigiani per decisione del Comitato di liberazione dell’alta Italia per almeno quattro ragioni, tre private e una pubblica. Nei suoi vent’anni di governo non gli erano mancati i mezzi per conoscere vita, opere e miracoli dei cosiddetti grandi capi dell’antifascismo. Inoltre, Churcill e gli Inglesi temevano che, se fosse vissuto, avrebbe pubblicato i documenti dei loro rapporti con lui e col regime fascista. Queste furono ragioni private. La ragione pubblica fu che bisognava assolutamente evitare che il capo dell’Italia vinta ed occupata, caduto in mano ai vincitori, subisse il processo di Norimberga, o di altro luogo, e venisse giustiziato dagli stranieri dopo un processo pubblico tenuto dinanzi a tutto il mondo. Vi fu poi la ragione più vile, il timore molto forte che, se fosse vissuto, anche nel futuro regime democratico, con la sua capacità oratoria e la sua personalità, che godeva ancora di un seguito nonostante la funesta disfatta, potesse riprendere il potere.


Piero Di Vona, Ricordo di mio padre, in “La vita e la storia familiare: interviste, lettere, articoli, testimonianze su La Voce di Buccino dal 2007 al 2023”, pp. 33-34

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