Qualche mese fa la giornalista iraniana Masih Alinejad, residente a Londra, ha creato la pagina facebook “My Stealthy Freedom” (La Mia Libertà Clandestina), dove incoraggia le sue compatriote a mostrarsi senza hijab, il velo tradizionale e obbligatorio che copre la testa e i
capelli, usato da donne iraniane come simbolo di modestia quando sono in
pubblico o in presenza di uomini che non sono membri della loro
famiglia. Per rappresaglia il governo iraniano ha mandato in onda un servizio in cui racconta che la giornalista, sotto l'effetto di droghe, si sarebbe spogliata in pubblico finendo per essere poi violentata da tre uomini sotto gli occhi di suo figlio diciassettenne. Alinejad ha denunciato al giornale statunitense “The Washington Post” il tentativo di diffamazione cui è stata sottoposta. Ma la campagna denigratoria non si è fermata qui e su facebook sono volati epiteti pesanti da parte di soggetti di area conservatrice. Sulla rivista statunitense "Time" Alinejad scrive: «Decidere come vestirti è una forma di libertà di
espressione. E questo è un lusso che non esiste in Iran. Ma le “donne
clandestine” volevano mostrare una faccia diversa dell’Iran che è spesso
ignorata dalla media controllata dallo Stato e dai media occidentali». Dopo le denuncie e le minacce la pagina fecabook "La mia libertà clandestina" è divenuta ancora più popolare. Intanto Alinejad citerà in giudizio per danni la televisione di Stato iraniana. La giornalista è appoggiata da centinaia di giornalisti che hanno sottoscritto una petizione a di un’azione legale da parte di Alinejad.
Réparer la modernité ?
18 ore fa
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