Questa formulazione è un vecchissimo argomento
attribuibile in parte a Umberto Eco.
Ma ognuno di noi lo osserva e lo formula in diversi modi, chi guardando
alla timeline di Facebook, chi perdendosi nei meandri del web, chi
magari vedendo circolare notizie non verificate su Twitter.
In realtà è un argomento che definisce il problema in maniera
sbagliata. Internet ha cambiato il modo in cui funziona la nostra
cultura. Prima selezionavamo i contenuti da pubblicare. Oggi che i costi
di pubblicazione tendono a zero, selezioniamo i contenuti disponibili.
La funzione di filtro si è spostata su ciascuno di noi e tutti dobbiamo
acquisire le competenze necessarie per imparare a trovare quel che ci
serve.
Quindi l'impostazione corretta è questa: «se troviamo troppa roba che
non ci interessa, probabilmente abbiamo impostato dei filtri sbagliati o
non usiamo gli strumenti giusti».
2. «C'è troppa gente ignorante che parla»
Anche qui,
il digitale rovescia la prospettiva della vecchia cultura analogica e
solletica le posizioni elitarie di chi è abituato alle torri d'avorio.
Internet fa facilmente il lavoro di tutti gli altri media, distribuendo
contenuti nelle diverse forme (testo, audio, video). Ma fa anche un
lavoro che gli altri media non hanno mai fatto: costruisce relazioni.
E distribuisce, oltre ai contenuti cui ci aveva abituato il mondo
tradizionale, anche contenuti relazionali. Quindi siamo di nuovo di
fronte a una responsabilità di mediazione che torna sul singolo
individuo, che deve educarsi a gestirla e comprenderla.
Tra l'altro il meccanismo è potente: anche per gente con un livello
culturale più basso di quello che credi sia il tuo, è importante il
continuo scambio, il confronto, l'esposizione alla diversità. E la
relazione con gli altri.
Quindi potremmo parafrasare l'impostazione di prima, utilizzando una
formulazione che circola da anni: «se non trovi gli stimoli che ti
servono, non è colpa dei social network: probabilmente stai seguendo tu
le persone sbagliate o stai seguendo gente che non parla con te».
E che non per questo non ha diritto di parlare.
3. «La rete è troppo litigiosa»
Questa è diventata molto di moda negli ultimi tempi, quando le
interferenze tra web e politica hanno cominciato ad apparire evidenti.
O, ad esempio, nel caso di Mentana che abbandona Twitter.
Il punto, al solito, è che di nuovo bisogna rovesciare la
prospettiva. Proprio commentando il caso di Mentana, tempo fa, osservavo
che se il direttore del Tg7 potesse ascoltare i commenti dei suoi
telespettatori probabilmente non lascerebbe per questo la televisione.
Internet non fa altro che rendere «pubbliche» le opinioni che la realtà
analogica confinava ai salotti o ai bar.
È chiaro che questo «canale pubblico» modifica gli equilibri e ci
impone -una volta di più- di doverci educare a vivere in un mondo
diverso. Ma dopo tanti anni di digitale ormai, c'è abbastanza esperienza
per capire come usare i social media. Essendo -ad esempio- molto
positivi e rispettosi della sensibilità altrui. E ricordando sempre che
quando si scrive qualcosa in rete si sta scrivendo a un pubblico
potenzialmente indiscriminato. Che -tra l'altro- può risponderti.
Quindi, banalizzando molto, se comunichi a calci negli stinchi,
probabilmente ti senti figo, ma inneschi una rissa. Se rispetti gli
altri, è facile che ne consegua una discussione molto più morbida e
proficua. Per tutto il resto, non è Internet: è la gente. La stessa che
incontri per strada.
4. «Sono tecnicaglie virtuali, la realtà è un'altra»
Qui ci torna utile una bellissima intervista a Nathan Jurgenson che
ieri circolava -giustamente- molto. Ci sono un paio di passaggi
illuminanti. Il primo racconta come la nostra umanità sia «potenziata»
dai social network. «Quello che ne deriva», spiega Jurgenson, «è che
l’impatto principale dei social media nella nostra identità avviene
spesso lontano dallo schermo».
E poi, nel secondo, smaschera una propensione allo snobismo molto
diffusa: «Facciamo finta che le persone più connesse digitalmente siano
meno umane per dipingere la nostra distanza come prova d’integrità. Le
ricerche hanno invece dimostrato che le persone più connesse sono anche
quelle che comunicano di più faccia a faccia. L’esperimento di Miller ha
avuto così tanto seguito perché in molti credono al mito secondo cui
abbiamo smesso di comunicare di persona. La verità è che lo facciamo più
di prima».
5. «La nostra cultura sta andando verso il degrado»
Questa assomiglia molto ai treni che arrivavano sempre in orario. È
vero, oggi chiunque può fare il giornalista anche solo aprendo un blog, o
pubblicare un libro e distribuirlo in tutto il mondo senza l'avallo di
un editore.
Quello che sta succedendo, messo in forma corretta, è che la cultura
umana continua il suo percorso verso un accesso più facile e veloce alla
conoscenza. È già accaduto molte altre volte nella Storia. E ancora una
volta siamo noi a doverci adeguare, a imparare a navigare nelle nuove
regole di una cultura che funziona in modo diverso.
GIUSEPPE GRANIERI