(Aggirando la scorciatoia - Dando vueltas al atajo) - L'interpretazione della parabola di Zambrano eleva lo sguardo a veicolo che favorisce il successo educativo. A seconda di come ci posizioniamo, otterremo una prospettiva più ampia o più ristretta (richiamando Ortega). L'educazione non dovrebbe essere altro che saper guardare, imparare a posizionare il nostro sguardo per raggiungere la prospettiva che ci permette di vedere l'orizzonte più ampio. Lo specchio purifica perché ingrandisce, perché lucida la realtà osservata. Allo stesso modo, il nostro sguardo ci permette di focalizzare l'attenzione su ciò che vediamo. Più ampio è il nostro campo visivo, più cose dobbiamo focalizzare. Più spesso focalizziamo la nostra attenzione su un campo più ampio, maggiori sono le nostre possibilità di fare quelle scoperte cruciali discusse nel suo articolo; più esperienze faremo, più pienamente vivremo. E questa è una delle funzioni che Zambrano attribuisce all'educazione: vivere pienamente, evolversi costantemente e scoprire se stessi vivendo. Non prestare attenzione significa non vivere perché non usiamo il nostro sguardo, non lo applichiamo alla realtà circostante e interiore, ostacolando così lo sviluppo personale.
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Il racconto è questo:
Un giorno un sultano volle decorare in modo particolarmente bello una sala del suo palazzo. Per questo fece venire due gruppi di pittori da luoghi molto lontani tra loro: Bisanzio e la Cina. Ogni gruppo avrebbe dipinto l'affresco in una delle due grandi pareti parallele del salone, senza poter sapere ciò che avrebbe dipinto l'altro. Assegnò a ciascun gruppo una parete senza permettere che entrassero in comunicazione; nel mezzo della sala una tenda debitamente collocata impediva qualsiasi tipo di comunicazione tra i pittori ai due lati. Quando l'opera fu terminata il sultano si diresse prima a ispezionare l'affresco dipinto dai cinesi. In verità era di una bellezza meravigliosa. "Nulla può essere più bello di questo" disse il Sultano e, con questa convinzione, fece scorrere la tenda perché apparisse la parete dipinta dai greci di Bisanzio. Ma in quella parete non era dipinto nulla, i greci l'avevano soltanto pulita e ripulita fino a mutarla in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva come in un mezzo più puro le forme sulla parete cinese. Le forme e i colori acquistavano una bellezza inimmaginabile che non sembrava più appartenere a questo mondo: una nuova dimensione, per gli occhi e per lo sguardo umano.
La lezione che si impara da questa storia è simile a quella delle parabole, degli apologhi, dei miti e di tutto ciò che ha un senso simbolico, multiplo. Per iniziare a comprenderne un po' di lezione, tutta non è possibile, pensiamo a cosa sarebbe accaduto se i cinesi, con la stessa finezza dei greci, avessero fatto la stessa cosa: questo era il massimo rischio come lo è in ogni sottigliezza estrema, cioè che l'altro sia fine allo stesso modo. In questo caso, la sala sarebbe rimasta come un luogo privilegiato perché la luce vi si raccogliesse, perché viaggiasse da una parete all'altra e mostrasse ciò che ha di simile alle creature alate: una colomba che sorge dalla luce quando le si dà l'occasione di farlo.
Se l'affresco dipinto dagli artisti cinesi fosse stato mediocre, allora la sua opacità nel riflettersi nello specchio dalla bianchezza incandescente sarebbe stata riscattata, come accade alle immagini riflesse sull'acqua. La lezione, a nostro parere, è questa: nulla è brutto se si guarda attraverso un altro mezzo più puro e più intellegibile. Ma portando alle estreme conseguenze questo caso, si potrebbe dire che lo sguardo sarebbe capace di riscattare ogni bruttura, ogni mediocrità, purché sia lo sguardo di chi sappia, guardando, creare un mezzo purificato e lavato come la parete bizantina.
E si potrebbe continuare, si potrebbe supporre che, prima di fare qualcosa, prima di percepire un'immagine, e prima di pensare, si renda necessario pulire e ripulire lo sguardo, l'anima, la mente fino a che gli assomigli, quanto più umanamente possibile, alla bianchezza che è pura vibrazione, velocissima vibrazione che unisce tutte le vibrazioni che generano il colore, mostrandosi apparentemente come quiete e passività. Ogni lettore può continuare per suo conto la serie delle interpretazioni, poiché ogni capolavoro dello spirito - grande o piccolo che sia - è un racconto senza fine.
Ottobre 1964
Maria Zambrano, Per l'amore e per la libertà, Marietti 1820, 2008, pp. 138-140


